mercoledì 31 dicembre 2008

Internet: il giornalista protagonista dell’ informazione

“Mio caro Max tu parli di internet e notizie, perche’ non chiarisci chi vince e chi perde da questo cambiamento che sta avvenendo nel mondo dell’informazione?” mi chiede il mio lettore da Tucson, Arizona, USA.
Devo dire che da quando ho cominciato a scrivere sul mondo dell’editoria e dell’informazione in generale l’attenzione a cio’ che scrivo e’ aumentata vertiginosamente. Ricevo continuamente richieste di chiarimenti a riguardo.
Se non fosse per il lavoro (pagato) che svolgo per APK, la ong di assistenza degli italiani del Nord Est del Brasile (apk.salvador@yahoo.com.br) , non riuscirei a sopravvivere perche’ il lavoro di giornalista e quello di rispondere alle emails dei lettori e’ quasi non remunerato.
Ma voglio rispondere alla domanda del mio lettore italo-americano perche’ riguarda un punto essenziale del giornalismo attuale.
Internet ha per sempre cambiato i rapporti di forza all’interno del mondo dell’informazione con uno shift (spostamento) epocale del focus dal giornale al giornalista. Mi spiego.
In passato un giornalista che chiamava una persona per raccogliere notizie o per una intervista si qualificava dicendo ad esempio: “ Lavoro per il Corriere della Sera, per la Repubblica”. Oggi no.
Quando chiamo per raccogliere informazioni dico: “Sono Max Bono, giornalista”.
Il cambiamento e’ abissale e si spiega con un altro cambiamento altrettanto importante che e’ avvenuto nel mondo dell’informazione. Oggigiorno i giornali come veicoli di informazione sono inutili. La pura notizia, cio’ che e’ accaduto nel luogo X all’ora Y, e’ di dominio pubblico grazie ad internet. Chiunque puo’ sapere le notizie in tempo reale senza problema.
E’ finita l’epoca in cui solo il giorno dopo, leggendo il giornale, si conosceva cio’ che era accaduto. Cio’ era gia’ cambiato con l’avvento della tv ma internet ha mutato cio’ in maniera radicale. In pratica i giornali cartacei hanno gia’ cambiato la loro funzione. Come veicoli di informazione sono inutili, persino dannosi perche’ possono indurre ad errori di informazione. L’unico valore aggiunto di un giornale e’ nel commento che danno alla notizia, non nella notizia in se’.
Ma (ovvio) il commento deve essere di qualita’ perche’ altrimenti anch’esso e’ inutile. Percio’ il giornale (tanto fisico quanto on-line) ha disperatamente bisogno di giornalisti che scrivano commenti di qualita’. Giornalisti- analisti che vedano al di la’ della notizia per interpretare e vedere cio’ che essa comporta per il futuro di tutti noi.
Il lettore compra il giornale per questo, per avere un valore aggiunto alla notizia in se’, che puo’ avere gratis da internet. Si tratta pertanto di un cambiamento abissale che colloca il giornalista commentatore al centro del mondo dell’informazione. Il giornale ha perso per sempre la sua centralita’ nel mondo dell’informazione, sostituito dal giornalista. Il preistorico mondo dell’editoria italiana non ha ancora capito cio’ e questo spiega perche’ molti giornali stanno affondando nelle vendite. E’ pero’ vero che l’intero modello di business dell’informazione e’ cambiato.
Il giornalista commentatore ha tuttavia ancora molta difficolta’ ad emergere e per questo deve svolgere un secondo lavoro, specie se non appartiene alla “casta” del mondo dell’informazione del passato. L’editoria italiana per decenni e’ vissuta sulle notizie “pilotate” e si rifiuta disperatamente di accettare il cambiamento imposto dal mondo di internet. Ovvio, non ci riuscira’, ma sicuramente sta ritardando il cambiamento.
Parlando di cambiamenti, molti mi chiedono ad esempio perche’ scrivo per vari giornali on-line piuttosto che per quelli “fisici”. Beh, la spiegazione e’ la seguente. Il tempo medio tra scrivere l’articolo e la sua pubblicazione on-line e’ di un giorno mentre sui giornali “fisici” (che in piu’ vogliono l’esclusiva) e’ di 3 – 4 giorni. In pratica quando pubblicato sul giornale cartaceo il mio articolo e’ gia vecchio.
Francamente preferisco la diffusione on-line, anche se quasi non remunerata, ma libera rispetto a quella cartacea, mal pagata, che esce con grande ritardo, con “direttive” su come scrivere e che scrivere.
Tanto, penso, il giornalista commentatore on-line e’ il futuro anzi il presente e nel frattempo continuo, per il mio sostentamento, a lavorare per APK.

domenica 28 dicembre 2008

Internet, il vero giornale degli italiani all’estero

“Quali sono i giornali italiani che leggi?” chiedo al mio intervistato. Ho fatto questa domanda migliaia di volte intervistando gli italiani di Bahia per la ricerca della ong APK, l’unica di assistenza della comunita’ italiana del Nord Est del Brasile (apk.salvador@yahoo.com.br).
Cio’ che impressiona e’ che la risposta e’ stata quasi sempre la stessa: “Tutti, chiaro su internet”. Ed inoltre: “ I giornali italiani sono carissimi qui in Brasile, arrivano con grande ritardo, con notizie vecchie. In internet invece ricevi le notizie in tempo reale, riesci a leggere persino le notizie della tua cittadina di appartenenza, e, ovvio, costa pochissimo”.
Internet ha permesso di mantenere il legame con la madrepatria tramite il continuo aggiornamento delle notizie. In passato i costi proibitivi dei giornali scoraggiavano l’acquisto degli stessi da parte degli italiani all’estero e di conseguenza le comunita’ all’estero perdevano gradualmente il contatto con l’Italia.
L’immagine della nostra patria diveniva opaca, folkloristica, senza contatto con la realta’ attuale. Oggi tutto questo non esiste piu’. Persino ultrasettantenni leggono con regolarita’ le notizie che accadono in Italia con la dimestichezza di ragazzini. L’immagine dell’Italia e’ la stessa che si ha in Italia, persino i tormentoni politici che si commentano sulle spiaggie brasiliane dall’italiano di turno sono gli stessi che in Italia. L’italiano all’estero conosce (o meglio puo’ conoscere) l’Italia come l’italiano in patria.
Ci sono tuttavia alcuni fenomeni interessanti che riguardano l’informazione on-line e gli italiani all’estero poco conosciuti o discussi. In primo luogo mentre l’italiano all’estero sa benissimo cosa accade in Italia non e’ vero il contrario. L’immagine dell’italiano all’estero in Italia e’ ancora molto folkloristica, e’ l’immagine del “paisa’”, dell’emigrante con la valigia di cartone. Una immagine tanto falsa quanto quella che avevano gli italiani all’estero di quelli in Italia in passato. Solo che l’italiano all’estero si e’ aggiornato grazie ad internet mentre l’italiano in patria no.
E’ forse questa la vera ragione della disaffezione (per non dire dell’immagine di “pappone”) che l’italiano in patria ha di quello all’estero. Sfortunatamente la cosiddetta “informazione di ritorno”, l’informazione circa le comunita’ italiane all’estero da parte di giornalisti italiani sul luogo, quasi non esiste in Italia. Al contrario i sussidi governativi per la stampa italiana all’estero (quelli si’) vanno, per la maggior parte, a “papponi” che pubblicano giornali italiani all’estero che ben pochi leggono. Questi sussidi dovrebbero essere indirizzati allo sviluppo dell’informazione di ritorno invece che essere “sprecati” in mille rivoli o andare a foraggiare il gruppo Assopigliatutto-La Repubblica con il “metodo” dei quotidiani teletrasmessi.
Infine e’ interessante la discussione che si strascina per anni sul “sesso degli angeli” riguardo a Rai international. Una discussione francamente inutile perche’ Rai international all’estero la vedono in pochi per non dire in molto pochi. Di nuovo i costi elevati associati a ricevere il segnale tramite la tv via cavo o satellite scoraggia seriamente l’italiano all’estero. E perche’ poi? Con internet vedi con un po’ di ritardo le trasmissioni rai senza alcuno costo.

E’ evidente che internet ha distrutto per sempre il mondo preistorico dell’editoria italiana. E questo e’ ancora di piu’ vero all’estero. Paradossalmente pero’ ha anche centralizzato l’attenzione del teleutente sui giornali tradizionali, nella loro versione on-line. Mi spiego.
Il “brand” dei giornali tradizionali e’ decisivo nel momento di scegliere dove leggere le notizie. In pratica si va in google si scrive il nome della testata nazionale piu’ famosa o conosciuta e si leggono le notizie italiane. Mai prima d’ora i giornali tradizionali sono stati tanto forti e tanto deboli. Tanto forti perche’ sono i principali che si leggono in internet, tanto deboli perche’ i giornali fisici (anche in Italia) si leggono sempre meno. Riportano notizie vecchie, inutili. In prastica vale la pena leggerli per i commenti e per i titoli a nove colonne piu’ che per le notizie. Questo spiega perche’ i giornali sportivi sono sempre sull’auge dell’onda in Italia.
Un’ altro fenomeno ancora piccolo anche se in crescita vorticosa riguarda i giornali on-line poco conosciuti o i siti blog. Questi non hanno “il nome” ma nella ricerca in google escono anche loro. Ed il lettore, una volta che li sperimenta, se gli piacciono, torna sempre di piu’. Ed alla fine persino abbandona il giornale tradizionale, limitatamente pero’ all’area di competenza del giornale on-line specializzato.

Morale della storia: i giornali cartacei hanno un valore ed un impatto sempre piu’ ridotto mentre molto maggiore e’ l’impatto delllo stesso giornale online. I giornali online “nuovi” invece stanno attraversando un severo processo di selezione naturale accentuato dalla recente crisi economica e sopravviveranno solo quelli che dimostreranno di avere una specializzazione vera nell’area di competenza. E cio’ per i giornali degli italiani all’estero significhera’ avere una vera informazione di ritorno, non una copia sbiadita della comunita’ italiana che esce dai libri di storia dell’emigrazione.
Ora pero’ mi fermo e torno al duro lavoro di ricerca per APK. Se aspetto i sussidi governativi sto fresco. Al momento la mia informazione di ritorno mi da un ritorno di buon immagine ma non un altrettanto ritorno finanziario. Devo guadagnarmi la pagnotta io e con l’inflazione crescente qui in Brasile (altra informazione di ritorno che vi passo) non posso aspettare i tempi biblici del governo per la modifica dei criteri di erogazione dei fondi pubblici all’editoria italiana all’estero. E qualcosa mi dice che anche questa ci sara’, i futuri beneficiari saranno i soliti noti.

sabato 27 dicembre 2008

Brasile, dove essere "differenti" non fa molta differenza

“Max tu scrivi tanto bene degli italiani all’estero ma non parli mai di quelli con difficolta’ psico-motorie, quelli che in Italia vengono definiti disabili”. Lo confesso, l’osservazione del mio lettore italiano e’ vera. Ma non perche’ non voglia scrivere sull’argomento. Al contrario. La ragione vera a ha che vedere con il modo di vivere che si ha in Brasile.
Le persone che vengono a vivere qui lasciano tutto alle spalle. Tutti i problemi, fisici e psicologici. Qui le persone sembrano cominciare una nuova vita. Qui tutti sono uguali. Questo e’ veramente il paese in cui si ricomicia una vita nuova, da zero. E qui i disabili, i “differenti” non lo sono poi tanto. Al contrario. E cio’ perche’ le persone non sembrano poi tanto impressionate dai “difetti” fisici o psicologici. E la storia che vi racconto oggi sembra provare cio’.

Sono nel quartiere turistico della Barra a Salvador de Bahia. Per il mio lavoro di analisi della comunita’ italiana di Bahia con la ong APK (apk.salvador@yahoo.com.br ) incontro italiani di tutti i tipi.
Ma quello che incontro in questa calda notte estiva di Salvador e’ sicuramente una persona speciale. Un simpatico siciliano di Catania che ha un famoso ristorante - pizzeria di nome “Luna Rossa”. Mario, come lo conoscono tutti, e’ una di quelle persone con la sua simpatia ti cattura subito. Gioviale persona di 52 anni, e’ proprietario del ristorante con alcuni soci. In piu’ svolge attivita’ di consulenza per alcune ditte importanti. Ha avuto una vita “movimentata” in cui si e’ sposato e separato e adesso ha una nuova compagna. Guida, ha tre figlie, conosce bene la citta’ di Salvador dove ha lavorato tanti anni come executive di una impresa. Il suo ristorante e’ molto avviato, ha una clientela fissa, il che non e’ facile per una citta’ turistica come Salvador. Mario ha viaggiato molto in Brasile e torna in Italia spesso, ma come turista perche’ la sua vita vera e’ qui a Bahia ora.
La conversazione scivola via amabile e simpatica. E nel finale Mario mi racconta dell’incidente. Un incidente terribile sul lavoro. L’esplosione gli tiro’ via le braccia. Rimasero solo alcuni lembi delle braccia che usa per chiamare col cellulare. Ma anche per guidare. Mario mi dice: “Vedi caro Max la vita a Bahia mi piace molto e per questo non tornerei piu’ in Italia. Ma c’e’ anche un’altra cosa. Una persona come me qui a Salvador fa una vita perfettamente normale. In Italia non sarebbe cosi’. Mi guarderebbero sembre con quell’aria di pietismo che mi fa piu’ male e rabbia dei miei “problemi” fisici. In Italia la mentalita e’ questa: sarei considerato come uno che va bene solo per il circolo della briscola, che non esce di casa, che si vergogna di cio’ che e’. Qui no, qui ho avuto molte donne, una carriera discreta, una famiglia, insomma tutto cio’ che “gli altri” hanno senza sentire quella aria di finta compassione e senza sentire quel “poverino” che vedo negli occhi della gente quando vado in Italia”.

E bisogna ammetterlo. In Italia una persona con difficolta’ psico-motorie, un disabile come si dice, e’ visto come un diverso. E forse lui stesso si sente tale, si sente colpevole di cio’ che ha. Ma in realta’ lui non ha niente. E’ la societa’ che gli affibbia il “titolo” di disabile. Qui in Brasile Mario e’ il proprietario del ristorante, e’ l’italiano, non e’ il disabile. Lui non e’ colpevole ne’ si sente tale.
Forse sara’ perche’ questo paese non ha la cultura europea. Una cultura magnifica e a volte terribile. Che condanna senza processo il “diverso”. In Brasile, invece, ci sono mille razze, lingue religioni, in pratica sono tutti diversi. Per questo nessuno e’ diverso. E questo Mario lo sa.
Mentre esco dal ristorante entra una coppietta. La ragazza sorride a Mario che con un largo sorriso da marpione italiano sorride ai due. E si’ mi sa proprio che Mario ci sa fare, che si diverte sul serio nella vita.

giovedì 25 dicembre 2008

Gli italiani? Sono fratelli e non lo sanno

“Max tu sei una persona intelligente. Cerca percio’ di risolvere questo mistero. Perche’ a differenza degli spagnoli, portoghesi, inglesi, americani, etc. gli italiani quando sono all’estero sono sempre disuniti, distanti, individualisti, non fanno gruppo, ognuno per se’ e Dio per tutti, specie qui in Sudamerica?”.

Siamo al Farol da Farra, posto turistico per eccezione di Salvador. Seduti al tavolino sono io, napoletano, il mio amico Paolo, toscanaccio inveterato, Gianni, milanese purosangue, Peppe, siciliano con la tipica sapienza della sua splendida isola, e Romolo, (inutile dirlo) di Roma.
Un gruppo eterogeneo, raro a formarsi all’estero, che pero’ rappresenta quello stivale che si chiama Italia.

“E’ proprio un bel mistero, difficile da risolvere” dico io “ma cerchiamo di risolverlo. Se ci fossero riusciti in passato, gli italiani non avrebbero passato tanti problemi, tanto in Patria quanto all’estero”. “Diciamocelo francamente” interviene Paolo, “l’italiano e’ diffidente, non ha spirito di corpo. Gli spagnoli, a confronto, agiscono come un tutt’uno, danno il “dizimo” (un decimo dello stipendio) per il club che rappresenta il loro paese senza alcun problema, agiscono come una corazza, fanno business tra loro”. E Peppe interviene “La colpa di tutto e’ che, come diceva Metternich, l’Italia e’ una espressione geografica. E’ unita da poco piu’ di 150 anni, ad eccezione del Sud Italia che e’ unito da piu’ tempo. Ed infatti gli italiani del sud sono piu’ solidali tra di loro, si sentono piu’ fratelli, mentre quelli del Nord ed anche quelli del Centro sono piu’ distanti da noi, tanto culturalmente quanto mentalmente.” E Gianni interviene
“E’ vero, come e’ vero che quelli del Sud sono tradizionalmente visti con diffidenza al Nord ed anche al Centro. Non sempre e non da tutti. Ma la storia della mafia, della sporcizia, dell’eterno tentativo di saltare la fila da parte di quelli del Sud e’ radicato tra di noi. Io so che non e’ vero, ma e’ inutile dirlo che fa parte della nostra cultura”. “Ricordo che una volta lavoravo a Milano in una famosa banca” intervengo io, “e la mia segretaria credendomi di farmi un complimento mi disse: sai Max tu lavori tanto e bene, neanche sembri napoletano. E’ pero’ vero che noi del Sud abbiamo le nostre colpe e tante, specie nella connivenza con certe situazioni poco trasparenti che succedono, specialmente al Sud.”

“Questo non significa che siamo tutti mafiosi”, interviene Peppe punto sul vivo, “provateci voi nordici a vivere con persone che se parlate vi ammazzano senza pieta’ e senza che nessuno dello Stato alzi un dito”.”Come diceva Kennedy, non chiedete cosa lo stato possa fare per voi, ma cosa voi potete fare per lo Stato” afferma Paolo. “Sacrosante parole” affermo io.”Nella mia vita mi sono sempre opposto a quella atmosfera di eterna rassegnazione che ho vissuto a Napoli. Non che i napoletani siano passivi, al contrario. Ma e’ che ci si aspetta sempre un intervento che cada dal cielo a risolvere i nostri problemi. Siamo noi che li dobbiamo risolvere, anche andando fuori se necessario invece che stare fermi a lamentarci”.

E forse la ragione di questa scarsa unita’ nazionale (unica eccezione e’ la partita della nostra nazionale di football) e’ che siamo una nazione apparentemente giovane, siamo uniti da poco tempo, abbiamo molte lingue culture differenti, modi di pensare, di esprimerci che sono anche in contraddizione tra di loro. A volte ci fidiamo piu’ di uno straniero che di un compatriota di una regione differente. E questo rimane all’estero, si trasmette tra generazioni anche all’estero, genera questa mancanza di unita’ che si esprime nella disgregazione della comunita’ italiana all’estero. Tuttavia c’e’ un ma.


Gli italiani, indipendentemente dalla regione di provenienza, sono veramente fratelli tra di loro e non lo sanno. Il loro comportamento abituale e’ veramente simile, la loro cultura e’ la stessa. Gli italiani all’estero si vedono al bar, parlano di calcio, vestono con stile, mangiano pasta con il pomodoro, bevono il caffe’ “corretto”, guardano le donne che passano con ardente desiderio. E questo in maniera uguale quelli del Nord quelli del Centro e quelli del Sud. Sono sempre un po’ spacconi, hanno sempre l’aria di saperla lunga (anche se poi molto spesso prendono “bidoni” senza saperlo), interrompono sempre la conversazione per vedere la bionda o la bruna che passa.
Questo comportamento e’ veramente italiano, totalmente italiano, e’ il nostro popolo che esprime i duemila anni della nostra storia. E’ vero siamo vissuti separati per secoli. Ma la nostra cultura di base e’ la stessa, siamo uguali nel nostro modo di pensare.
Siamo tutti figli dell’impero romano, del liceo classico, della moda delle discoteche, del vestirsi bene, del mangiar bene, della vanita’ tutta italiana.
E allora dovremmo ammetterlo che siamo un unico popolo, dovremmo smetterla con questa eterna diffidenza verso il connazionale quando apprendiamo che non e’ della nostra regione di appartenenza.
Tanto che lo vogliamo o no siamo tutti figli d’Italia e piangiamo insieme quando la nazionale di calcio che ci rappresenta vince la Coppa del Mondo.

sabato 20 dicembre 2008

Italiani indigenti all’estero: una triste realta’ dimenticata

“Caro Max ma perche’ non parli piu’ degli emigrati indigenti? Sono passati di moda?” mi chiede il mio lettore da Austin, Texas, USA. No caro lettore non sono passati di moda, non sono mai stati di moda. Al contrario l’Italia non ne vuole sapere. Ma bisogna parlarne perche’ sono cittadini italiani a tutti gli effetti. E oggi vi parlero’ di uno che conosco bene, una persona tanto buona quanto sfortunata.
Dani e’ una persona che ha avuto tante disavventure ma la cosa incredibile e’ il finale della storia e come l’assoluta assenza di interventi delle autorita’ italiane lascia questo nostro connazionale vivere in una favela di Salvador de Bahia. Che, al contrario di quelle di Rio de Janeiro, e’ caratterizzata dalla assoluta assenza di condizioni sanitarie basiche (servizio di scolo di liquami), di strade, di sicurezza basica, insomma in una parola di tutto cio’ che oggigiorno a torto o a ragione viene definito di civilizzazione. Ma andiamo con ordine e raccontiamo per sommi capi la storia di questo nostro connazionale abbandonato da tutto e da tutti a Salvador de Bahia.

Dani non e’ uno sbandato o una persone senza formazione professionale. Al contrario e’ un cameramen professionista che ha lavorato per la Rai, per varie imprese di Milano (sua citta’ di origine) dove ha fatto spot di successo per imprese anche famose. Una persona che guadagnava bene con uno stile di vita non elevatissimo ma neanche di basso livello. Dani aveva un debole per il Brasile ed in particolare per la Bahia dove era stato in viaggio in passato. Un’ altro italiano innamorato de Brasile direte voi miei cari lettori. Probabilmente e’ vero.

La vita in Brasile e’ cosi’ differente da quella in Italia che a volte sembra di essere in un altro pianeta. Purtroppo pero’ le cose piu’ spiacevoli e meno veritiere sul Brasile si scoprono dopo, non quando si viene come turista ma quando si viene a vivere qui. E poi se si viene nel Nordest del Brasile si vive una realta’ a sua volta completamente differente da quella di Sao Paolo o Rio de Janeiro. Qui la vita e’ apparentemente molto piu’ bella e disinibita, in realta’ molto piu’ dura e difficile per chi non ha “i soldi”. Quello dappertutto direte voi lettori. E’ vero, ma qui e’ molto piu’ vero.
Perche’ senza “i soldi” non si riesce a vivere semplicemente perche’ non c’e’ lavoro per uno straniero, ad eccezione quello di professore saltuario di lingua. Avere buone qualificazioni molto spesso non e’ sufficiente perche’ l’ ambiente sociale di livello e’ virtualmente chiuso per chi vuole valorizzare le sue conoscenze. Senza avere cio’ che veramente conta, “i contatti”.
Con il risultato che chi non porta un capitale per cominciare e va a Bahia non ha praticamente possibilita’ di trovare un lavoro qualificato, a meno che non l’abbia trovato prima di arrivare. Arrivare senza soldi e senza un lavoro contando solo con un buon curriculum significa rischiare seriamente di finir male.
Risultato: nonostante il buon curriculum Dani ha trovato a Bahia solo lavori saltuari dando lezioni private di italiano. Paga misera ma ancora un po’ decente.
Ma questa della paga e’ stata solo uno dei problemi e nemmeno il maggiore.
I problemi veri sono stati altri. Dani sembra essere un enciclopedia di casi sfortunati. E’ sposato e separato da una moglie con due figli. Ha avuto un altro figlio con un altra donna che si e’ rivelata una approfittatrice che per “spremergli” soldi e’ fuggita con il figlio che ha lasciato con la nonna che vive in una favelas nell’interno dello stato. Qui il figlio di Dani vive con altri figli, anche loro abbandonati dalle loro madri, a loro volta tutte figlie della nonna che ha insegnato alle figlie il “mestiere” di rimanere incinte per partorire e poi spremere soldi ai loro padri. Purtroppo i bambini vivono in condizioni che per un italiano sarebbero considerate disumane ma che nell’interno dello stato di Bahia non sono considerate poi cosi’ anormali.
Dani mi aveva chiesto se pubblicizzando il suo caso in Italia c’era la possibilita’ per lui avere assistenza legale qui in Brasile. Io gli avevo spiegato che la sensibilita’ verso gli italiani all’estero oggigiorno e’ cosi’ bassa da essere livello zero. Speranze nulle praticamente. Lui era disperato. Per un uomo di piu’ di 40 anni rassegnarsi a lasciare il figlio in quella situazione era un dolore indicibile. In Brasile qualunque azione legale per togliere i figli alla madre e’ quasi certamente destinata ad essere persa. In questo modo la madre guadagna la guardia legale del figlio e la tanto sospirata “grana”, gli alimenti del padre. Non e’ una regola ma quando la condizione sociale della madre e’ molto debole cio’ che e’ accaduto a Dani non e’ improbabile, anzi.
Ma la sfortuna di Dani non e’ finita qui, anzi. Dani viveva in un palazzo di classe bassa al centro di Salvador. Le difficolta’ finanziarie per sostenere i costi della causa erano troppo grosse per poter rimanere a vivere al centro. Si e’ cosi’ trasferito in una favela del Contorno vicino al centro (Campogrande). E qui una serie incredibile di casi sfortunati hanno fatto precipitare la sua situazione. Si e’ tagliato un piede camminando su una pietra aguzza nel mare e dopo qualche tempo ha avuto un incidente e ha battuto la testa. La ferita al piede si e’ infetta e insieme a quella alla testa ha provocato una infezione generalizzata in tutto il corpo. E’ stato internato all’ospedale con pericolo di vita. Quanto e’ tornato alla “casa” nella favela gli avevano rubato tutto. In piu’ per mantenersi ha continuato a dare lezioni di italiano ma il camminare gli ha provocato l’apertura della ferita al piede e una nuova infezione. Di nuovo l’ospedale.
La cosa tragica e’ che non ha un soldo. Se va a lavorare la ferita’ si infettera’ di nuovo e rischia la vita. Se non va, muore di fame. L’ho visitato nella favela. La sua “casa” cui si arriva tramite una strada tortuosa sul mare e’ una stanza semplice da pranzo piu’ un’altra separata da uno straccio che funge da separe’. Li’ un rozzo letto coperto da stracci e’ dove Dani dorme insieme ad altri 4 o 5 persone della favela. Chiunque in qualunque momento puo’ entrare in casa, rubare tutto ed andarsene. Chiunque puo’ ammazzare chiunque, mettergli una pietra al collo e gettarlo nel mare e mai sara’ trovato. Topi e liquame a cielo aperto. Le persone fanno i propri bisogni nel mare.
“Ma non hai chiesto aiuto a nessuno?” gli ho chiesto mentre occhi furbi da finestre e dai cespugli della favela spiavano ogni mio movimento. “Certo, ma mia madre mi ha detto che non vuole saperne. Stesso discorso per gli amici e conoscenti. Il consolato poi e’ inutile parlarne”. E aggiunge “ora sono qui e non ho nemmeno 10 reais (meno di 4 euro) per mangiare e mi sento gia’ molto debole”. “Ma perche’ non te ne vai?” gli chiedo e lui: “e dove? Senza un soldo, con il piede tagliato. E poi i miei figli sono a Bahia, se me ne vado non li vedro piu’”.
Lasciatemi dire una cosa: il fatto che un cittadino italiano si trova in situazione come questa descritta e’ una autentica vergogna. Gli indigenti italiani all’ estero sono una drammatica e attualissima realta’. E questa storia che mangiano a sbafo dell’Italia e’ abominevole.
Prima di andamene Dani mi chiama. “Ti do il numero di telefono di mia madre. Cosi’ se muoio faglielo sapere. E’ giusto cosi’” mi dice senza rancore, anzi con amore per la propria madre.
E con una piccola lacrima che spunta dal mio volto, gli rispondo “Non ti preoccupare, ciao.”

Papponi: in Italia o all’estero?

Lo confesso. Sono un pappone.
Secondo la definizione del dizionario italiano pappone e’ colui a cui piace pappare, mangiar bene. E a me piace. E molto.
Anche se per le carenze del bilancio familiare non lo posso fare sempre. Pertanto pur non partecipando alla Conferenza degli italiani nel mondo a Roma non mi sento per niente offeso dalle dichiarazioni del giornale Libero.
E si’ perche’ bisogna riconoscere due cose.
Primo in Italia siamo in democrazia e ciascuno e’ libero di dire stupidaggini, di qualunque tipo. Secondo e ben piu’ importante perche’ la dichiarazione del giornale Libero non e’ isolata contro gli italiani nel mondo.
Libero esprime il sentimento comune che si ha in Italia (ed anche dentro il governo) verso gli italiani all’estero. Papponi, a sbafo. Persone che sanno solo lamentarsi e chiedere soldi all’ Italia. Le comunita’ italiane all’estero sono considerate con fastidio, con antipatia, quasi con disgusto. “Ma cosa vogliono questi? Ma perche’ non spariscono una volta per tutte?” sembra dire il sentimento comune in Italia verso gli italiani all’estero. E Libero che, anche se e’ un grande pappone di sussidi pubblici cerca pur sempre di vendere qualche copia, interpreta questo sentimento italico diffuso. La colpa non e’ di Libero, che scrive solo cio’ che vende. La colpa e’ di questa disinformazione che crea il mito degli italiani all’estero come eterni lamentoni che mangiano a sbafo del governo italiano.
Tuttavia se vediamo alcune recenti inchieste sulla stampa italiana all’estero scopriamo che i papponi tra noi ci sono e tanti. Ma soprattutto che il piu’ grande pappone di tutti, che riceve piu’ dell’ 80% dei sussidi alla stampa italiana all’estero in maniera indiretta con il sistema dei quotidiani teletrasmessi e’ in Italia il gruppo Assopigliatutto-La Repubblica.
Buon pappone questo. E’ pur vero che le briciole che lascia sono pappate da gruppi editoriali locali all’estero che, con qualche eccezione, sono di dubbia fattura o agiscono in maniera illegale.
Tornando in Italia Libero entra nella categoria dei papponi nazionali grazie ai grandi sussidi ricevuti per vendere un giornale di dubbia qualita’.
La colpa di tutto probabilmente e’ dei rappresentanti italiani al Parlamento eletti all’estero, che pappano quasi tutto e ci elargiscono a noi poveri italiani all’estero dichiarazioni tanto gentili quanto ridicole nei contenuti e negli effetti. E che hanno fatto per noi finora? Quasi niente.
Mah, lasciatemi finire di pappare questa pappa al sugo di pomodoro.
Questa, perlomeno, l’ho pagata io. Sono libero io, anche se non pappo sussidi pubblici.

mercoledì 26 novembre 2008

Quaderni di Milano: sussidi governativi a vantaggio del profitto individiduale

“Caro Max tu parli tanto dei sussidi alla stampa italiana all’estero ma di scandali simili in Italia non ne parli. E quelli sono peggiori” mi dice il mio amico giornalista col naso aquilino al bar dei cronisti italiani poveri di Sao Paolo. “E quello che e’ peggio e’ che gli sprechi in Italia sono colossali rispetto ai quattro centesimi che danno all’estero” continua naso aquilino.
Ed allora eccomi qua in questa calda notte brasiliana a raccontarvi uno dei piccoli grandi scandali dell’editoria nostrana, una corporazione dai tratti quasi feudali che rifiuta sistematicamente chi non gli appartiene. Figurarsi uno come il sottoscritto che lavora ll’estero.

Oggi vi parlero’ di un contributo che originariamente era stato stabilito anche a favore del cosiddetto terzo settore, il no-profit. La legge 7 agosto 1990 n. 250 art. 3 comma 3 aveva previsto contributi da erogarsi a favore di cooperative, fondazioni o enti morali o da societa’ la cui maggioranza sia posseduta dalle stesse entita’ (cooperative, etc.).
Si trattava chiaramente del buon cuore del legislatore nel facilitare un settore che e’ cronicamente in difficolta’ nel reperire fondi. Contributi diretti niente male perche’ costituiscono soldi pesanti in questi tempi di vacche magre del bilancio statale. Con la imminente crisi che sta arrivando poi si tratta di veri e propri soldi benedetti. Fin qui niente di male. Il problema e’ quando ne beneficia chi non dovrebbe o chi ne approfitta a suo vantaggio.

Secondo la relazione pubblicata nel sito del governo per l’anno 2006 una impresa chiamata Editing Italia cooperativa a responsabilita’ limitata ha ricevuto la bellezza di 312.000 euro, una somma niente male visto che l’anno precedente non aveva ricevuto niente e due anni prima 214.656 euro (con una crescita del 46%). La Editing Italia pubblica i Quaderni di Milano, che dovrebbero essere una pubblicazione periodica. Fin qui nulla di male.

Il problema e’ che QM - Quaderni di Milano e’ un settimanale di informazione con Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 704 del 20/12/1986. E allora direte voi miei cari lettori?
Mi sono cimentato nell’impresa cercando di trovare questa pubblicazione in internet, cosi’ cara al contribuente italiano e cosi’ economica al consumatore, visto che costa solo 1 euro. Alla fine ho trovato ho trovato una pubblicazione chiamata “On the road” edita dalla Editing Italia, rivista che si autodefinisce “Il giornale di chi viaggia o ci sta pensando”. On the road e’ una rivista di turismo di Milano che ha come direttore responsabile Carlo Vezzoni. Il luogo di pubblicazione potrebbe essere a Monza. Per la pubblicita’ si consiglia di chiamare il numero 02.6706650. Siccome sono curioso ho investigato un po’ e ho scoperto che questo numero nel passato corrispondeva al numero di fax di un bed e breakfast di Monza che si chiama Errigal. Guarda caso la pubblicita’ dello stesso bed e breakfast si trova dentro la rivista “On the road”.
Piuttosto che contributi dati ad una ong che opera no-profit o ad una cooperativa sembra che i contributi finiscono ad un piccolo gruppo editoriale di turismo con annessa relativa compagnia turistica. E non e’ finita qui.
Il signor Carlo Vezzoni aveva fatto parte della direzione provinciale della Margherita milanese, e in passato si era candidato per la lista DEMOCRAZIA E’ LIBERTA’ CON RUTELLI a Milano.
Ricordiamo che la Margherita milanese a fine 2006 cadde nella bufera per uno scandalo di tesseramenti falsi.
Vezzoni e’ stato anche assessore alla comunicazione per la Provincia di Milano e si presume conosca bene i meccanismi di finaziamento erogati dallo stato nel settore della comunicazione.
Dopodiche’ Vezzoni si e’ dato al giornalismo turistico e tutti lo sapevano. C’e’ una bella foto dello stesso in un viaggio della Giver Viaggi insieme con molti altri colleghi del settore che scrivono in giornali molto piu’ famosi. Questa e’ la lista dei partecipanti: Nicoletta Longhi (Repubblica), Daniela Campora (Repubblica), Susanna Tanzi (Capital), Beba Marsno (Bell'Europa), Maria Antonietta Zancan (Famiglia Cristiana), Luca Beretta (L'Orso), Stefano Brambilla (Qui Touring), Laura Forti (V&S), Antonella Mariotti (La Stampa) e Carlo Vezzoni (On the Road).
Ad onor del vero non e’ assolutamente detto che i suoi collghi sapessero delle molteplici attivita’ del Vezzoni. E si’ perche’ non sono finite qui. Infatti alla Errigan (l’agenzia di viaggio menzionata prima) lavora Imelda Behan Vezzoni. Questa e’ molto attiva nel terzo settore perche’ lavora anche nella Associazione Le vele Onlus.

Insomma in questo intricata rete di attivita’ del sign. Vezzoni e familiari solo una cosa sembra chiara: i contributi dello stato per l’editoria a favore del cosiddetto no-profit o cooperativo sembra invece beneficiare la produzione del profitto individuale. E come ha detto il dott. Bonaiuti, per i prossimi due anni non c’è tempo per correggere le distorsioni del sistema attuale e tutto rimane cosi’.
Non mi resta che rispondere cosi a naso aquilino: “Meglio berci sopra una birretta gelata, perche’ qui in Brasile la nostra professione non e’ considerata molto, forse sarebbe meglio metter su una cooperativa o una ong in Italia per avere soldi del governo italiano”.

sabato 22 novembre 2008

Piero, il maestro toscano di Bahia

Questa Bahia e’ proprio sorprendente. Trovi italiani di tutti i tipi. Forse piu’ che in altri parti del Brasile e del Sudamerica, si trova davvero di tutto. Dal riccone all’indigente, dal simpatico all’antipatico, dalla persona distinta al criminale, da quello che aiuta i poveri a quello che li sfrutta.
Tutto l’universo mondo e’ qui.
Ma oggi vi voglio raccontare di un personaggio forse unico in questa ricca fauna baiana: il maestro toscano di Bahia, Piero Bastianelli. Un pisano di 73 anni radicato a Bahia da quasi 50 anni ma che ha mantenuto quella sapienza, ironia, allegria di vita tutta toscana. Una persona che anche nel visuale e’ simile a quei maestri toscani, artigiani nella fala e nell’acume.
E tra lui, toscano purosangue e me, cronista napoletano di Bahia, si intavola una conversazione tra il serio ed il faceto, con punte di arguzia e di ironia che mi ricordano le indimenticabili scenette di Troisi e Benigni del passato.
Piero ha una sapienza che viene da lontano, che si rivela nella conversazione di questa calda serata bahiana vicino al magico Farol da Barra.

Piero mi rivela che studio’ musica al Conservatorio Boccherini di Lucca, dove divenne violoncellista. All’inizio comincio’ freelance (si direbbe oggi) con “l’ orchestra del telefono” mi dice. In che consisteva? gli chiedo. E lui: “All’epoca (fine anni 50) il sindacato dei musicisti era una vera potenza. Loro chiamavano a casa e chiedevano: Vuoi suonare a San Gimignano, a Braga (provincia di Lucca)? Io rispondevo di si, prendevo il trenino dell’epoca e arrivavo al paesino di turno. Cosi’ (con il telefono) si contattavano gli altri musicisti, di qui l’orchesta del telefono” dice Piero. E aggiunge, con la classica risata sardonica toscana “Si chiamava spedizione punitiva: una prova e poi via per l’esecuzione, i soldi erano pochi, i concerti quasi improvvisati ma venivano bene”.
“E come mai sei venuto in Brasile?” gli chiedo. “Perche’ in una delle tante spedizioni punitive (a Zurigo) incontrei un tedesco che mi propose di venire a lavorare in Brasile. Io accettai ma poi non credetti veramente all’invito, che invece arrivo’ puntualmente a casa mia”. A quel punto Piero parti’. “Pensai, foreste, serpenti, coccodrilli, mi piace, questa era l’idea del Brasile all’epoca”.
Con il volo della Pan Air Piero sbarco’ a Bahia dove fu accolto molto bene. C’era molto bisogno di persone con esperienza allora come ora, e Piero con il suo bagaglio culturale invidiabile ricevette la proposta di insegnare all’universita’ di Bahia, oltre che lavorare all’orchestra. Accetto’ e rimase. Il gruppo dell’orchestra era molto internazionale: tedeschi, inglesi, etc.
Qui l’unica nota amara di Piero.
Il lavoro all’universita’ fu tutta la sua vita ma per la regola del ritiro in pensione a 70 anni questo tipo di vita fini’. “Quando si e’ nel pieno dell’esperienza e sei in grado di trasmettere esperienze concrete vai in pensione”. E io gli chiedo in tono provocatorio: “Questo e’ fatto per dare spazio ai giovani, in fondo e’ cio’ che e’ successo anche a te quando sei venuto in Brasile”. E Piero ribatte con il suo impagabile sorriso: “E’ vero ma quando sono venuto io il professore precedente non e’ stato mandato in pensione. I vecchi non sono da buttare”.
Gli chedo: “Come ti sei integrato nella realta’ di Bahia dell’epoca?”. “La cosa fondamentale” risponde “e’ il tuo atteggiamento rispetto alle altre persone: bisogna entrare nella societa’ e conoscerla, piuttosto che criticarla senza sapere cosa c’è intorno a te”. L’orchestra era stata il suo primo ambiente sociale, poi l’universita’.
Una mia provocazione “Cosa pensi di lasciare ai posteri in questo mondo?”. Piero risponde: “alunni che hanno appreso veramente qualcosa, che viaggiano il mondo intero, Stati Uniti, Europa, che non e’ facile per chi viene da Bahia. A me piace insegnare, trasmettere qualcosa, ma di vero non di formale”. A Piero non interessa che i suoi alunni hanno titoli di dottorato di master, ma che apprendano veramente qualcosa. “Il cambiamento del sistema universitario brasiliano dal modello francese a quello americano iniziato nel 1969 e’ la causa del suo declino” racconta Piero. Qui la realta’ e’ diversa dagli USA e la centralizzazione delle finanze a livello statale (federale) ha creato una riduzione di mezzi finanziari e confusione culturale che ha danneggiato l’ universita’ brasiliana. Oggigiorno si pensa solo ad avere diplomi per il mercato del lavoro non ad imparare. L’importanza dell’universita’ e’ insegnare, educare e questo e’ cio’ che mi interessa fare”.
La visione di Piero e’ quella del maestro di scuola di una volta, quello di vita piu’ che di cultura tecnicista. Il maestro deve avere carisma e deve insegnare ai suoi allievi a fare bene.
E la nostra conversazione si chiude in modo comico con un commento sulla politica italiana.
Piero mi dice: “Adoro assistere alla politica italiana. I nostri politici sono veri artisti. Si’ perche’ solo veri artisti sanno parlare con autentica convinzione di cose in cui non ci credono nemmeno un poco. Io non ci riesco ma loro si, e’ un vero teatrino”.
Un’ altra considerazione: “Dobbiamo promuovere la cultura contemporanea invece che giacere su quella nostra passata. Intendiamoci, la nostra cultura e’ tesoro dell’umanita’ ma bisogna promuovere il presente non il passato. In questo modo la musica, la cultura sono concepiti come una cosa vecchia”.

Hai ragione mio caro Piero. E’ arrivato il momento dei saluti. “E’ stato un piacere maestro”, dico io, e lui con quel sorriso ironico mi risponde: “Maestro si ma maestro toscano”.

venerdì 21 novembre 2008

Vecchi e giovani italiani all’estero: uguali a quelli in Italia?

“Vedi mio caro Max, la differenza tra i vecchi e i giovani italiani, in Patria come all’estero, e’ proprio questa. I vecchi hanno un attaccamento ad alcuni valori, che possono essere la Patria, la bandiera, i propri costumi, le proprie tradizioni, i propri dialetti, mentre i giovani no, non sono attaccati a niente”. Chi mi parla e’ un emigrato ultrasettantenne italiano in questa calda notte di Salvador de Bahia dove, seduto ad un bar della piazza del Porto da Barra, discutiamo di differenze generazionali e comportamentali degli italiani, in Italia come all’estero.

Devo dire che, da quando APK, la nota ong di assistenza degli emigrati italiani di Bahia (apk.salvador@yahoo.com.br), ha cominciato questa ricerca socio-economica sulla realta’ italiana di Bahia, non riesco piu’ a rispondere a tutte le emails che ricevo sull’argomento. L’interesse su chi sono, come vivono e dove vivono i nostri emigrati, vecchi e giovani, a Bahia, in Brasile ed in America Latina, e’ enorme. C’e’ una grande curiosita’ su questo popolo italico, da sempre dimenticato dalle autorita’ consolari locali, che oggi sembra essere uscito finalmente dal cono d’ombra che lo avvolgeva e sta rivelando personaggi tra i piu’ disparati e piu’ variegati. Sembra quasi che questo studio e’ una vera e propria cartina di tornasole per tutta la comunita’ italiana all’estero nel mondo.

Ma torniamo al mio amico ultrasettantenne e alle sue considerazioni generazionali. Alle sue scettiche affermazioni sui giovani italiani emigrati recentemente qui a Bahia replico io in tono provocatorio: “Va bene ma questa storia dell’attaccamento ai valori umani e solidari dei vecchi italiani e’ tutta da verificare. In altre parole molti vecchi e’ come se predicassero bene e razzolassero male, alla fine si comportano ne’ piu’ ne’ meno che come i giovani. E’ solo nei fatti, all’atto pratico che si puo’ verificare la veridicita’ o meno delle tue affermazioni”. Ed il mio compaesano mi risponde: “E’ vero. Tuttavia cio’ che si nota nei giovani e’ un comportamento opportunistico a volte esasperato. Una discussione come quella che stiamo facendo qui e ora un giovane non la farebbe, perche’ la considererebbe una perdita di tempo, non ne avrebbe interesse”.

E’ vero, penso io, un giovane si alzerebbe e se ne andrebbe. “I giovani di oggi pensano solo ai soldi, sono figli dalla cultura consumista” continua l’amico. E io replico: “Non qui a Bahia, dove l’attaccamento ai vestiti firmati o al Rolex di turno si perde nella semplicita’ del modo di vivere locale”. “E’ vero”, ribatte lui, “ma la mentalita’ rimane, l’atteggiamento mentale speculativo rimane, e se la cosa non interessa al giovane, questi se ne va, non perde tempo, se non si guadagna niente.”. Ed io: “Hai ragione, quello che pero’ mi colpisce dei giovani italiani e’ che pensano sempre che le domande che faccio hanno un secondo fine, per guadagnare qualcosa, quando scrivo sui problemi degli indigenti o degli italiani in genere. Nel mio caso non lo faccio per i soldi e i miei editori lo sanno. Non e’ detto che si fa tutto sempre per guadagnare qualcosa, si puo’ farlo anche perche’ ci si crede”. “I vecchi”, dice lui “hanno dei valori, anche nostalgici, di attaccamento alla patria, che fa si’ che aiuterebbero un conterraneo in difficolta’. I giovani che vengono qui a Bahia sono senz’arte ne’ parte, vogliono solo divertirsi e non pensano a niente, non sono attaccati a niente.”

Per la verita’ dubito che i vecchi emigrati aiutino come dice il mio amico, per lo meno nel quantum piuttosto che nel se. Tuttavia cio’ che distingue i giovani che vengono a vivere qui a Bahia e’ che, anche se non sono attaccati alla patria e alla bandiera, come dice l’ultrasettantenne che mi sta di fronte, sono anch’essi italiani. In altre parole l’atteggiamento di menefreghismo alla patria e alle tradizioni italiane e’ solo di facciata. Dentro di se’ i giovani italiani all’estero sono veramente italiani. Vanno al bar dello sport, vedono le partite di calcio italiano, discutono con calore su cio’ che accade in Italia, pensano alle donne alla stessa maniera che in Italia (tutte da conquistare ad eccezione della santa da sposare). Il menefreghismo di facciata maschera un’altra realta’: la mancata vera integrazione con la realta’ locale. I giovani italiani di Bahia conoscono (in generale) solo Barra, Ondina ed il Pelourinho, i quartieri turistici, non vanno nelle fine dell’INSS dove vanno i locali per andare all’ospedale pubblico. Vanno dal medico privato, vivono come eterni turisti, anche se si vendono come locali con gli italiani in Patria. E forse la differenza con i vecchi e’ che la nostalgia della patria di cui parla il mio amico, e’ piu’ mascherata mentre nei vecchi e’ piu’ esplicita.
Togli loro il caffe’, la partita di calcio al bar, l’andare dietro alle donne (tutte cose che i giovani italiani fanno in patria) e vedi che che loro, i giovani italiani all’estero, non sono piu’ gli stessi. In altre parole riproducono lo stesso atteggiamento culturale e mentale che hanno in patria, in maniera non differente da come fanno i vecchi italiani all’estero. E forse, quindi, sono tutti uguali, giovani e vecchi italiani, in patria e all’estero.
Forse tutti no. Devo correre alla fila dell’ INSS dell’ospedale pubblico per prendere il numero per fare la vaccinazione di mio figlio, non ho i capitali dei giovani italiani all’estero, vado al servizio pubblico io. Ma nella vita ci sono sempre delle eccezioni.

giovedì 20 novembre 2008

Editoria italiana all’estero: si cambia? Quando?

Finalmente.
Stavamo aspettando da tanto tempo. La parola del governo sul destino dell’editoria italiana all’estero e’ arrivata. O no? E si, perche’ forse non siamo molto bravi di comprendonio, ma non abbiamo capito che cosa accadra’ e soprattutto quando.
Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria, Paolo Bonaiuti, nella sua audizione presso la Commissione Cultura della Camera ha dichiarato: “Fino a questi ultimi giorni ho continuato a ricevere lettere riguardanti tale regolamento, ma, pur allungando i tempi, ho voluto ascoltare tutti, ma proprio tutti, per far sì che ci fosse una definizione del regolamento più condivisa possibile".

Ah dott. Bonaiuti, il suo naso assomiglia a quello di Pinocchio. Tutti ma proprio tutti no. Il sottoscritto, misero cronista italiano in Brasile che ha scritto una inchiesta sulla editoria italiana all’estero che (mi dicono) ha messo in luce tutti i trucchi ed inghippi usati in questo settore, non se lo e’ filato nemmeno di striscio. E dire che una piccola email gliel’ho mandata.
Ma non voglio fare polemica di basso profilo, dopotutto sono solo un giornalista italiano in Brasile.
Il fatto veramente grave e’ che, come dice Bonaiuti “L'operatività delle norme non partirà dal 1 gennaio 2009, ma a gennaio 2010. Per il contributo del 2008 rimarrà tutto vigente tranne alcune norme minori. Abbiamo dinanzi a noi un anno nel quale discutere per arrivare a una legge condivisa sull'editoria.”

“Mai dare giudizi affrettati. Analizza i fatti, solo i fatti mio caro Max” diceva il mio vecchio professore di liceo. E analizziamoli questi fatti. Secondo quanto detto dallo stesso Bonaiuti un regolamento governativo sul tema dell'editoria era gia’stato annunciato già ai primi di luglio. Tuttavia solo “il 17 settembre è stato messa al vaglio di una platea di rappresentanti dell'editoria venuti a Palazzo Chigi per eventuali modifiche” dice Bonaiuti. Poi in un gesto di grande democrazia, Bonaiuti ha voluto sentire tutti (ma non proprio tutti). Risultato: siamo arrivati al 19 novembre e buonanotte. I tempi sono troppo stretti e se ne riparla nel 2010.

Gli scrocconi del passato, La Repubblica-Assopigliatutto e tutti gli altri continueranno a beccare i contributi secondo le regole antiche e questo in un periodo in cui si taglia dappertutto per gli italiani all’estero.
Francamente per un governo che era stato salutato come portatore di una ventata di efficienza e rapidita’ nell’affrontare i problemi e’ proprio una bella delusione per noi italiani all’estero, ultima ruota del carro della locomotiva Italia.
Attenzione pero’ perche’ le buone notizie arrivano ora: “ci sarà, seguendo delle direttive del Governo, una semplificazione fortissima delle procedure e degli atti di accesso ai contributi sia diretti sia a credito agevolato. Inoltre - continua Bonaiuti - verrà introdotto un criterio di parametrazione dei contributi rispetto alle vendite effettive e non alla distribuzione.”
Bello, bellissimo che peccato che accadra’ (se accadra’) cosi’ lontano nel tempo.
C’e’ pero’ una ventata di serieta’: “ho chiesto che sia avviata da parte del Ministero degli Affari Esteri un'indagine conoscitiva riguardo i giornali italiani all'estero" dice Bonaiuti. Beh, non e’ che non ci vogliamo credere ma delegare la ripulita del buco nero dell’ editoria italiana all’estero a quello stesso organo che lo ha mantenuto in queste condizioni finora non e’ proprio il massimo della vita. Infatti, se non erro, era proprio il MAE il responsabile dei controlli nel passato. Svolta colossale o piccolo topolino uscito dal cilindro di Bonaiuti?
Ed ecco, udite, udite, la grande svolta: “Si cercherà di indirizzare i contributi per favorire nuovi posti di lavoro nel giornalismo. Tutta l'editoria sta attraversando un momento particolare. C'è molta preoccupazione riguardo la situazione lavorativa nel mondo del giornalismo".
Attenzione attenzione fatemi passare cari colleghi, mi candido in prima persona subito, sin da ora.
Ma chissa perche’ qualcosa mi dice che il mio posto gia’ e’ stato occupato, forse da qualcuno della cricca dell’editoria del passato.

martedì 18 novembre 2008

Vita in Brasile? Costa quanto in Italia

Hai letto bene il titolo mio caro lettore. Non ti illudere. E’ finalmente arrivata l’ora di sfatare un mito, molto radicato in Italia, che si riassume in due parole: “Prendo i soldi e scappo in Brasile”.

Si perche’ su questo mito generazioni di italiani hanno passato i migliori anni della propria vita a sospirare nella penombra dei loro uffici a sognare una vita su una spiaggia brasiliana da sogno, circondati da caipirinhas, splendide mulatte e l’immancabile ombra di una palma di cocco.

Per realizzare questo sogno era facile. Bastava mettere da parte un gruzzolo, rispettabile ma non enorme, e poi via verso il sole brasiliano dimenticando la vita magra con il capoufficio di turno.
Mi dispiace disilluderti mio caro lettore ma i tempi sono cambiati. Il tuo gruzzoletto non durera’ molto, specialmente se la tua idea e’ quella di mettere su famiglia e ricominciare una nuova vita all’ombra della palma di cocco.
Il livello di vita della classe media brasiliana, equiparabile a quello di quella medio-bassa italiana, ha un costo drammaticamente simile a quello italiano. Inutile illudersi che il gruzzolo duri in eterno come altrettanto illusoria e’ l’idea di mettere su un ristorante o un alberghetto e cosi’ integrare i soldi del “tesoretto” messo da parte con ricavi in loco.

Ma perche’ dici questo? mi chiederai mio caro lettore, frustrato per aver il proprio sogno di vita infranto. Beh, gli argomenti sono i seguenti. Uno puramente numerico ma con una premessa.

Il sogno continua se, dopo aver mollato tutto si sbarca in Brasile per vivere una vita basica senza conforts da classe media, un appartamento molto piccolo e soprattutto niente famiglia. In questo caso i costi sono ancora abbastanza bassi, anche se i costi della propria alimentazione sono aumentati notevolmente rispetto a 5 – 10 anni fa. Ma se si arriva in Brasile a mezz’eta’ con volonta’ di ricominciare una vita con una famiglia nuova, inutile illudersi, la sentenza e’ terribile: i costi sono gli stessi del paese che si e’ lasciato, l’Italia.
Perche’? Facile a spiegare. Tutto e’ basato sulla privatizzazione di fatto dei servizi pubblici in Brasile. Che significa? Istruzione e sanita’ qui si paga mio caro lettore e anche molto salata. E' bene specificare che stiamo parlando in particolare del Nord Est del Brasile.
Puoi sempre andare all’ospedale pubblico, a volte anche efficiente. Ma il piu’ delle volte non troppo differente da qualcosa di simile a una macelleria a cielo aperto, dove uomini, donne e bambini sono curati in maniera cosi’atroce che non permetteresti lo stesso trattamento nemmeno al tuo peggior nemico.
E la scuola? Quando ci sono, banchi, sedie e aule, la violenza che le attinge ha raggiunto livelli cosi’ impressionanti che la polizia e’ chiamata per sedare le numerose risse che succedono.
Infine i conti. Secondo uno studio di APK, una ong di assistenza degli italiani dello stato di Bahia, una famiglia di 4 persone (con casa di proprieta’ e due figli) paga, in media 1000 reais per una scuola di livello medio-buono. La necessaria assicurazione sulla salute aggiunge altre 1500 reais al bilancio familiare (stima per difetto). Se poi a cio’ aggiungiamo spese per alimentazione, vestiario e divertimento si arriva ad altri 2000 reais in media. Totale 4500- 5000 reais, equivalente a circa 2000 euro. In altre parole il costo della vita di una famiglia di classe medio-bassa in Italia. E l’integrazione del proprio bilancio con un attivita’ in loco (ristorante, albergo)?
A questo riguardo bisogna sfatare un’ altro mito: l’ 80% delle nuove iniziative imprenditoriali in Brasile muore prima di completare un anno di vita. In altre parole l’improvvisazione (che colpisce tanto i brasiliani quanto gli stranieri nelle loro attivita’ imprenditoriali) e’ mortale per l’iniziativa privata. Non e’ piu’ sufficiente essere italiano, saper fare una buona pasta al sugo e dare un buon look al proprio ristorante per sbarcare il lunario.
La concorrenza e’ spietata, il brasiliano (ed il turista) ruota moltissimo il posto dove mangiare la sera e “farsi una clientela” non e’ facile. In piu’ c’e’ in Brasile un’ attenzione esagerata ai costi: quanto piu’ economico, meglio, anche a scapito della qualita’. In pratica e’ durissima. E mentre i ricavi languono i costi crescono in maniera esponenziale proprio quando l’attivita’ non riesce a decollare come all’inizio.
Risultato: alta percentuale di fallimento del settore della ristorazione. Esempio: a Salvador il ristorante alla Casa d’Italia, centro storico della comunita’ italiana di Salvador, non e’ durato piu’ di un anno, e in questo caso la locazione nella Casa d’Italia doveva essere un punto di forza, oltre alla cucina tipicamente mediterranea del ristorante. Discorso simile per gli alberghetti e pensioni aperti da italiani che pensano di saperla lunga a riguardo e poi falliscono miseramente.

Conclusione: mio caro lettore, se decidi, nella penombra del tuo ufficio nel centro di Milano, Roma o anche nella periferia italiana, di venire in Brasile, pensa a che vieni a fare e come, e organizza il tutto molto bene con analisi preventiva di costi e ricavi. Il tempo dell’improvvisazione e’ finito e se non farai cosi’ potresti anche finire male ed essere costretto al rimpatrio in Italia per mancanza di fondi.

lunedì 17 novembre 2008

Pelourinho, dove gli italiani non si fidano di nessuno

Lo confesso. Mi sono sbagliato. Pensavo che incontrare gli italiani di Salvador e fare loro due domande su come se la passano fosse semplice. Specialmente per quelli che vivono e lavorano nelle zone turistiche.E tra queste a Salvador di Bahia sicuramente il Pelourinho e’ l’area principe.
Niente di piu’ sbagliato mio caro lettore. Gli italiani del Pelourinho, con qualche notevole eccezione, si adattano perfettamente all’atmosfera del Pelo’. Sono malfidati, ambigui, diffidenti, ti guardano con sospetto, con circospezione, manco fossi una spia o (peggio ancora un agente delle tasse). In fondo sono un giornalista, le dichiarazioni fatte al sottoscritto sono pubblicita’ per loro e per i loro ristoranti.
L’analisi socio-economica che faccio degli italiani di Bahia puo’ portare loro benefici e visibilita’ di fronte alle autorita’ italiane, che da sempre fanno come se non esistessero. In altre parole questi italiani hanno tutto da guadagnare a parlare con il sottoscritto. Ed invece no, mio caro lettore.
Mi chiedono chi sono, che faccio, perche’ devono rispondere alle domande. E poi giu’ con la tipica lamentela italiana. Le cose non cambieranno mai per loro, non hanno fiducia nel governo italiano, peggio ancora nel consolato onorario di Salvador.
Massimo dell’internet cafe del Pelourinho, all’angolo del Terreiro di Jesus, e’ il piu’ rude: “Non credo per niente nell’utilita’ di queste domande e questionari, noi per il governo italiano non esistiamo”. “Ma se rispondi alle domande puo’ darsi che qualcuno in Italia si accorgera’ dei vostri problemi” ribatto io. E lui replica prontamente: “Ma in Italia li sanno benissimo i nostri problemi e non fanno ne’ faranno mai niente”. Bisogna capirlo a Massimo. L’astio delle sue parole e’ giustificato da decenni di abbandono totale del governo e del consolato alle problematiche degli italiani di Bahia. La sfiducia e’ totale. Sembra che io che faccio le domande rappresenti il governo italiano. E lui che non puo’ sfogarsi con il governo lo fa con me in maniera anche pesante.
Sono le 9 di sera di una lunga giornata in cui ho lavorato duramente intervistando italiani di diverse parti di Salvador ed in particolare del Pelourinho. Sono stanco (e’ comprensibile) e sto facendo il mio lavoro (non molto pagato). La giornata era cominciata nel Largo 2 di luglio, in una vecchia casa di questo quartiere di classe bassa. Qui vive Antonio Pelosi, un emigrato italiano di lunga data. Lo chiamo alla reception del vecchio palazzo ma lui si rifiuta di parlare. Gli dico che parlando con me avrebbe l’opportunita’ di denunciare i suoi problemi, primo fra tutti quello dell’assistenza sanitaria dall Italia. Ma lui grida dal telefono della reception del suo palazzo: “L’assistenza sanitaria dall’Italia non l’ho mai avuta e non voglio parlare con nessuno, basta” e riaggancia. L’ira di questo anziano italiano traspare dall’amarezza delle sue parole che manifestano una condizione di completo abbandono.
Vado a piedi al Pelourinho ed incontro una persona squisita, una vera eccezione in questo panorama di italiani malfidati. Salvatore Distefano, 39 anni di Padova, proprietario del ristorante La figa. Simpatico, dinamico, gioviale, mi spiega che sta aprendo un ristorante nella citta’ di Morro di Sao Paolo. Salvatore ha un ristorante avviatissimo dove si mangia bene. E alla fine della nostra conversazione mi parla di cosa pensa sia il maggior problema per gli italiani del Pelourinho. “Siamo visti dai locali come sfruttatori non come investitori. Non e’ colpa mia se il salario minimo e’ di 400 reais e se qualche ladruncolo cerca di derubare i clienti io intervengo. Ma parlando con la polizia o con i locali la risposta molto spesso e’: qui le cose sono cosi’ se non ti piace tornatene in Italia.” Non e’ giusto ribatto’ e lui aggiunge: “E’ vero, ma non tutti la pensano cosi’”.
Vado in un ristorante lussuoso italiano dove il proprietario mi accoglie con un caloroso sorriso. Ma questo scompare subito quando gli spiego che vorrei fargli due domande invece che mangiare. Mi spiega che deve verificare, di lasciargli le domande e mi fara’ sapere. Quanta burocrazia per alcune innocenti domande, penso. Ma poi percepisco che la diffidenza serpeggiante salta fuori con il dinego a rispondere.
Incontro Giovanni di un internet cafe’, simpatico 42enne di Roma che mi spiega la difficolta’ di integrarsi nella societa’ brasiliana, specie al Pelo’. “Qui recentemente arrivano due categorie di italiani, quelli che vogliono solo divertirsi e quelli che vogliono mettere radici. I primi dopo un po’ se ne vanno ma anche tra i secondi alcuni se ne vanno”. “Ogni uomo ha in media tre donne e 15 figli, non ci si puo’ veramente integrare in una societa’ cosi’”.
Ed infine l’incontro con Massimo dell’internet cafe’.
Che dire degli italiani del Pelo’?
Con le eccezioni di Salvatore e Giovanni, hanno mostrato che non si fidano per niente di un loro connazionale. Triste cosa: e’ vero che il governo li ignora ma e’ altrettanto vero che, con questo comportamento, rimarranno sempre in questa situazione.

domenica 9 novembre 2008

Il grido di dolore degli italiani indigenti di Bahia

Il mio lavoro a volte e’ ingrato. Mi porta a raccontare storie, come quella di oggi, che non possono non lasciare indifferente anche un cronista navigato come il sottoscritto. Un misto di rabbia, rassegnazione ed indignazione si mescolano in un turbinio di emozioni che colpiscono chi legge e chi scrive. Ma andiamo con ordine.

Largo 2 di luglio, centro storico di Salvador di Bahia, Brasile. Quartiere decaduto del centro storico di Salvador alle spalle della Rua Chile, un tempo una via chic della citta’. In questa piazza il rumore assordante di uno spettacolo di quarta categoria di questo venerdi’ sera domina la scena nelle lunghe penombre della sera. In un palazzaccio di classe medio-bassa chiedo alla reception di incontrare Annina de Gregorio, una emigrata italiana di lungo corso. Sembra di stare a Napoli. Il portiere chiama la signora che accosente all’intervista. Salgo le scale al primo piano di questo palazzo antico ed una anziana signora mi attende alla porta dell’appartamento del secondo piano. Comincio a parlare con la signora di come e’ venuta in Brasile. Mi colpiscono le sue gambe. Il diabete le ha rese di un rosso violaceo. Ha alcune fasce attorno ad una gamba. Forse per fermare il dolore. Il dito del piede e’ completamente fasciato ed e’ stato operato.
Nel mezzo della conversazione si sente una voce flebile che viene dall’altra stanza. “Chi e’?” chiede. “E’ un ricercatore italiano, Maria non ti preoccupare.”, risponde Annina. “Vieni qui parlami di lui”, dice la voce, ed Annina sparisce nella penombra della stanza. Poi torna e mi chiede di accompagnarla. Nell’altra stanza una signora molto anziana mi attende.
Sdraiata completamente nel letto, molto debole, malata, con due cuscini sotto il capo fa fatica a parlare. Mi chiede cosa sto facendo. Le spiego che sto investigando gli emigrati italiani di Bahia, in particolare gli indigenti. Lei mi sorride e mi chiede di ascoltarla. E cosi, su una poltrona a fianco al suo capezzale, con l’aiuto della sorella mi racconta una storia di dolore e di sofferenza, che dovrebbe essere letta da tutti gli italiani, specialmente da quelli che pensano che gli emigrati italiani che chiedono soldi al governo italiano sono approfittatori che vogliono solo denaro.

Nel 1957 l’Italia del dopoguerra aveva lasciato una situazione durissima che costrinse all’emigrazione intere famiglie, specie del Centro- Sud.
Annina e Maria de Gregorio lasciarono Bolognano, in provincia di Pescara, per arrivare a Salvador de Bahia, per raggiungere i propri familiari. Inutile dire che l’adattamento delle due donne all’inizio non fu facile. Mentre Annetta comicio’ a lavorare come sarta, Maria ebbe una formazione di insegnante e comincio’ a lavorare nella Dante Alighieri, la rinomata scuola di italiano di Salvador. Tuttavia le cose peggiorarono perche’ il fratello mori’ e Maria fu costratta a lasciare la scuola per assistere i genitori nel lavoro dei campi all’interno dello stato di Bahia. Lavoro durissimo nelle piantagioni di famiglia, che rendeva poco ma era estremamente pesante. Questo lavoro comincio’ a minare la salute di Maria. E nei decenni la salute peggioro’ sempre di piu’. I genitori morirono e della grande famiglia rimasero solo alcuni nipoti. Dopo tanto tempo le due donne decisero di vivere insieme a Salvador, nella capitale. Il povero appartamento di una stanza da pranzo, bagno e stanza da letto accolse le due donne che furono costrette a sacrifici notevoli.
Ma il finale di questa storia e’ certamente impressionante.

Maria si e’ gravemente ammalata ed e’ stata ricoverata per quasi un mese ad un ospedale di Salvador. Dopo essere stata dimessa giace nel suo letto e non si puo’ muovere. A 82 anni cio’ e’ pienamente possibile mi dirai mio caro lettore, anche in Italia. Ed invece no. Perche’?
Perche’ Maria riceve la pensione minima di 420 reais (153 euro) al mese. “Con questi soldi se mangio non bevo, se bevo non mangio. Inutile poi parlare delle medicine”. Il problema maggiore e’ la visita del medico a domicilio. Nelle condizioni in cui Maria si trova, chiaramente non puo’ muoversi. Tuttavia il costo di una visita a domicilio e’ assolutamente proibitiva: 300 reais. In altre parole se Maria sta male chiama il medico e finiscono i soldi del mese. Se non lo chiama puo’ morire.
“Ma e l’Italia non ti aiuta?” chiedo io. E lei con voce flebile mi risponde: “Non c’e’ interesse e questo non e’ giusto per un governo che dimentica i suoi figli”. Maria si mantiene perche’ la sorella riceve una pensione maggiore che le permette di pagare le spese mediche di Maria. Ma perche’ non ti sei naturalizzata brasiliana per godere dei benefici sociali legati a cio’?” le chiedo. “Il Brasile e’ un paese molto accogliente ma la terra mia (l’Italia) e’ la terra mia.” mi risponde. “L’Italia non si puo’ dimenticare anche se lei si dimentica di te” continua Maria.
E la conversazione scivola via in questa calda notte di novembre a Salvador di Bahia nello sfondo della musica assordante del concerto di quart’ordine.

E’ giunto il tempo dei saluti. Annina mi chiede se puo’ avere benefici dall’Italia legati al diabete ed al diritto ad un accompagnante. Non so rispondo, bisogna verificare.
Mi avvicino al capezzale di Maria. E lei con una voce fioca e soave al tempo stesso mi dice: “Ti ringrazio tantissimo per avermi ascoltato e sei puo’ fare qualcosa per me, per l’amor di Dio, fallo”. Ed io, con difficolta’ per trattenere le lacrime davanti a questa donna in fil di vita, rispondo: “Se posso, lo faccio”. E spero davvero che questo articolo lo faccia.

domenica 26 ottobre 2008

La grande crisi

Sta arrivando. Sara’ terribile. Stiamo parlando della grande crisi. Una crisi senza uguali negli ultimi 80 anni. Forse sara’ come quella del 1929. Ricordiamolo: ci sono voluti 10 anni per superarla e con una guerra mondiale. Inutile illudersi. Dovremo affrontarla e affidandoci solo alle nostre forze.

Le similitudini con la Grande Depressione sono molte. Un gigantesco crollo della borsa di valori negli USA e nel mondo. Il crollo del mercato immobiliare. La paralisi del credito. La crisi del sistema bancario.

Ma se la crisi diventera’ Grande Depressione dipende da noi. La chiave sara’ la riduzione dei consumi. Se questa avverra’ in grandi dimensioni sara’ la fine. Entreremo in un vortice vizioso da cui sara’ difficile uscirne. Niente consumi significhera’ niente investimenti anche in presenza di aumento del credito.
L’immediato intervento delle autorita’ monetarie mondiali, con un intervento concertato per facilitare l’espansione del credito e’ la grande differenza con la Grande depressione del 1929, per lo meno al suo inizio. Tuttavia se i consumatori perdono la fiducia e riducono drasticamente i consumi, l’intervento monetario delle banche centrali sara’ inutile. Un’altra differenza e’ che (al momento) i risparmi dei consumatori non sono stati ridotti in maniera drastica. E’ vero che, specialmente negli USA, il crollo del mercato finanziario ha colpito significativamente il pubblico in genere, ma e’ altrettanto vero che i crolli delle banche sono stati ridotti al minimo. L’intervento delle banche centrali ha ridotto il rischio di corsa agli sportelli. Cosa ingiustificata.
Tuttavia e’ vero che i dati marcoeconomici hanno influenzato i mercati. E’ bene essere realisti. Questi dati sono orribili ed i prossimi saranno anche peggio. Ci sara’ una forte contrazione dell’attivita’ economica. Ma non bisogna farsi prendere dal panico. Non e’ la fine. Perche’ questa sara’ decisa solo da noi consumatori. Ridurre i consumi con moderazione e’ giusto e accettabile. Altra cosa e’ il panico e la fuga dai mercati.
Rischiamo di comprometterci da soli. Ricordiamolo: la stragrande maggioranza di noi non sa cos’è una depressione, siamo cresciuti nella credenza (errata) che il capitalismo e’ invincibile.
Per questo la liberalizzazione sfrenata dei mercati ha determinato comportamenti pirateschi delle banche che hanno venduto ai loro clienti prodotti finanziari pieni di derivati senza che gli stessi clienti capissero un acca di cosa stavano comprando. Molto spesso le stesse banche non sapevano che stavano vendendo, visto che giravano ai clienti prodotti fabbricati a Londra o a New York da scienzati della finanza che non si interessavano degli effetti collaterali dei loro prodotti. Badavano solo al bonus (stellare) che avrebbero guadagnato quell’anno e niente piu’.
Attenzione pero’: non siamo in presenza di un complotto di un gruppo di scienzati pazzi della finanza senza scrupoli. Si’ perche’ l’avidita’ in relazione ai prodotti finanziari, ai ritorni stellari, era collettiva. Di molti, anche se non di tutti. Non dei risparmiatori con un gruzzolo sudato che avevano investito senza saperlo in prodotti molto sofisticati. Ma di rispamiatori medi e sofisticati che volevano guadagnare da nababbi senza lavorare molto.
E ora siamo tutti nella stessa barca. Una barca piena di buchi che puo’ affondare in qualsiasi momento. Ci salveremo solo se, con l’aiuto dello stato, tutti insieme faremo la nostra parte e eviteremo il disastro. Ma se agiremo da soli, senza un concerto e pensando solo a noi stessi, affonderemo tutti insieme.
Un New Deal, un nuovo patto sociale deve essere promosso. Che rispetti anche l’ambiente. Perche’ a differenza del 1929, l’ambiente oggi e’ stato seriamente danneggiato ed e’ a rischio.
Non illudiamoci: se non reagiamo tutti congiuntamente con il rispetto dell’ambiente, il futuro sara’ nero per noi e per i nostri figli.

mercoledì 22 ottobre 2008

Piccoli eroi italiani sconosciuti di Bahia

Sono un privilegiato. Sto facendo un lavoro interessante e bellissimo. Non per la paga, che al contrario e’ molto piccola. Ma se fosse stato per quella non avrei lasciato il lavoro superpagato della City di Londra per fare il giornalista in Brasile.
Da quando lavoro per una piccola ong per gli italiani all’estero di Bahia, APK, sto incontrando persone veramente interessanti. Veri e propri piccoli eroi sconosciuti di Bahia. Eroi italiani. Che l’Italia non conosce. Che a volte le autorita’ consolari locali non hanno mai visto. Ma che grazie al mio lavoro i lettori di tutto il mondo stanno conoscendo e apprezzando.
Ricevo lettere da Sydney, da Kuala Lumpur, da Philadelfia chiedendomi sempre piu’ storie su di loro. Come quella che vi racconto oggi, di questo italiano che ha fatto tanto in Brasile, eroe sconosciuto in un mondo moderno che mette in prima pagina chi guadagna un milione di dollari e che dimentica chi non e’ famoso ma che dedica la sua vita al sacrificio, al prossimo.

Padre Francesco Carloni, frate cappuccino di Salvador de Bahia. Lo incontro in un caldissimo primo pomeriggio domenicale. Busso con insistenza alla porta del monastero della piazza della Pidedade nel centro di Salvador. Dopo un po’ un frate mi apre. Chiedo del padre italiano, padre Francesco. “Frei Francesco esta’ almocando” padre Francesco sta pranzando mi dice l’umile padre, aspetti qui per favore. E mi seggo in una di quelle austere sedie tipiche dei conventi benedettini, in attesa del padre italiano.
Dopo un po’ viene un simpatico vecchietto minuscolo dentro una saia tipica dei benedettini e mi dice: “Salve sono Frei Francesco”. E cosi’ comincia la nostra amabile conversazione sulla vita di questo padre italiano di Montecaroto, Jesi, Marche, venuto in Brasile 36 anni fa.
A quell’epoca la vita era molto piu’ dura di oggi in Brasile Frei Francesco aveva deciso di venire perche’ aveva sentito parlare di Frei Beto e di altri padri che avevano deciso di aiutare i poveri e di affrontare i pericoli della dittatura militare a loro rischio e pericolo. Dittatura dura e spietata, anche se non molto conosciuta, quella brasiliana, che ha lasciato dei marchi profondi ancora oggi.
A quell’epoca i padri potevano essere arrestati e torturati con facilita’. Ma il simpatico marchigiano dall’aspetto fragile e dalla forza di volonta’ mastodontica non aveva avuto paura ed anzi aveva vissuto nell’interno dello stato di Bahia per aiutare i senza tetto e senza terra.
Per darti un ‘idea di dove lavorava, mio caro lettore, ti basti sapere che l’interno dello stato di Bahia mi ricorda il titolo di uno Zagor (fumetto italiano che reputo essere il migliore, per lo meno 30 anni fa): Terra senza legge. Niente strade asfaltate, terre sconfinate possedute da padroni che non vivevano li’ ma a Sao Paolo, lavoro schiavo diffusissimo e degradante, approfittatori di tutti i tipi e loro, i dannati della terra.
Gente poverissima che annoveravano anche figli di nostri emigrati, italiani in condizione di indigenza sfruttati come gli ex-schiavi negri liberati dalle catene legali ma non quelle economiche del potere dei fazendeiros (proprietari terrieri). Chi li osava sfidare rischiava la vita, visto che loro erano la legge. Ma il nostro simpatico marchigiano, minuscolo ma grandissimo, aveva svolto un grande lavoro ad Esplanada, nell’interno della Bahia, nel completo anonimato.
Dopo aver girato per decenni ad assistere i poveri della Bahia era finito nella capitale dello stato di Bahia, Salvador.
Piccola parentesi tutta italiana. Frei Francesco era tornato per un breve periodo in Italia. Poiche’ era registrato all’ AIRE non aveva diritto ad assistenza sanitaria in Italia. Cosa buffa perche’ lo stesso avveniva in Brasile. L’Italia non lo aiutava ne’ li’ ne’ in patria. Tuttavia ebbe un inizio di polmonite e rischio’ seriamente la vita. Era gia’ stato ricoverato al pronto soccorso con urgenza quando scoprirono che non aveva diritto all’assistenza. Francamente non so se cio’ fosse giusto o no secondo la legge italiana. So che gli dissero cio’. Tuttavia la compassione per il piccolo e fragile padre italiana fu piu’ forte della burocrazia italiana che l’avrebbe lasciato morire. Percio’ (gli dissero) fecero un eccezione e lo ricoverarono. Cosi’ si salvo’ la vita.
Ah, se cio’ avvenisse anche per gli emigrati italiani in condizione di estrema indigenza in Brasile tanti non sarebbero morti in anni recenti qui in Brasile.
Cosi’ frei Francesco ritorno’ a Salvador e continua il suo lavoro con il sorriso di sempre.

Piccolo eroe italiano sconosciuto in questa terra di Bahia, come tanti altri che umilmente lavorano in condizioni che in Italia sarebbero considerate disumane e qui sono considerate normali.
Non importa se l’Italia li ignorano, pensa solo a quanto costano, e’ cosi’ avara con loro.
Hanno deciso di vivere cosi’ e non saranno quattro centesimi del governo italiano che li fara’ cambiare idea.
Solo che forse meriterebbero di essere come minimo ricordati dal nostro stato, cosi’ generoso con alcuni banchieri nostrani, avidi e senza scrupoli, che sono salvati dal disastro che hanno causato ai poveri risparmiatori italiani, e cosi’ taccagno con i nostri eroi sconosciuti di Bahia.

Polizze unit e index linked: le banche si arricchiscono a spese dei risparmiatori

I risparmi di tutta una vita. Giovanni aveva centellinato ogni lira sua e di sua moglie. Per affrontare le difficolta’ del periodo in cui andava in pensione. Come professore di scuola media superiore non guadagnava certo una pensione dorata. Al contrario. Tra quella sua e quella della moglie i soldi erano sufficienti per mantenersi, per aiutare il proprio figlio in difficolta’ e soprattutto per pagarsi le spese mediche.
Si perche’ il servizio sanitario nazionale nel Sud Italia non era certo famoso per la sua efficienza.
Vivere una vita dignitosa con i soldi della pensione. Questo era l’obiettivo. Tuttavia le spese erano cresciute sempre di piu’ e Giovanni aveva dovuto usare sempre di piu’ i propri risparmi.

Risparmi sudati ma comunque al sicuro. Per lo meno questo era quello che credeva. Le ultime volte il funzionario di banca che lo assisteva era cambiato, aveva incontrato uno nuovo che gli parlava sempre di prodotti finanziari nuovi, sempre piu’ sofisticati. In principio Giovanni non aveva volto cambiare il caro e vecchio deposito di risparmio per qualcosa di diverso. Ma quel nuovo funzionario era diventato sempre piu’ insistente. Tutte le volte che andava in banca Giovanni si trovava un po’ in soggezione con lui. Ed in imbarazzo. E si perche’ non sapeva piu’ come dirgli di no.
“I tempi sono cambiati mio caro Giovanni” diceva il nuovo funzionario, “i depositi di risparmio non ce li ha piu’ nessuno, dovresti aggiornarti”. E, con quello sguardo furbo e smaliziato lo poneva sempre piu’ in difficolta’. Giovanni sentiva che non poteva piu’ sotttrarsi. Doveva anche lui “aggiornarsi”, modernizzarsi. Non poteva piu’ apparire un dinosauro dei tempi antichi.
Per la verita’ quando entrava nella filiale nuova della sua banca tutti quei giovani dinamici che parlavano di fondi di investimento, polizze assicurative index linked, unit linked, lo facevano sentire piu’ vecchio dei suoi 75 anni. Promotori finanziari, questa poi era la categoria piu’ strana di tutte.
Gli parlavano del suo gruzzolo duramente costruito durante gli anni come di una pianta che stava marcendo, mentre poteva crescere rigogliosa se avesse investito i suoi soldi nei loro prodotti. Per la verita’ Giovanni non era avido, non era alla ricerca di ritorni fantasmagorici, cercava solo di mantenere il potere d’acquisto che aveva costruito con il sudore della fronte.

Ma ormai doveva arrendersi all’evidenza: se non avesse investito in quegli strumenti finanziari strani le persone della banca l’avrebbero guardato con ironia e quasi aria di sfotto’. Doveva aggiornarsi. Le persone come Giovanni hanno un senso dell’autostima molto alto e non possono assoggettarsi a cio’.
Morale della favola: Giovanni ha investito i suoi risparmi in prodotti assicurativi unit linked e index linked. Dopo il recente crollo della borsa il suo capitale e’ stato piu’ che dimezzato ed in piu’ se vende le perdite saranno anche maggiori. Le penali per vendere prima del tempo sarebbero pesantissime.
Giovanni si era fidato della sua banca ed ora e’ rovinato. Deve pagare le medicine per se’, sua moglie e suo figlio ed e’ costretto ad uscire anticipatamente dall’investimento finanziario.
Una grande banca italiana ha guadagnato laute commissioni alle sue spalle e lo ha mollato senza alcun aiuto dopo.

Giovanni ha poi letto in un sito (www.assicurazione-online.it) questo:

“Una polizza vita di tipo "unit linked" è innanzitutto una polizza vita ad alto contenuto speculativo. Il denaro, cioè il premio, che si consegna al gestore (banca, SIM o compagnia d'assicurazione) viene cioè investito in quote di fondi di investimento, i quali posseggono generalmente una parte più o meno elevata di azioni. Il rendimento della polizza è così legato al rendimento del fondo; garanzie di rendimenti minimi o di riavere indietro quanto versato non ve ne sono.
La complessità del prodotto assicurativo unit linked e il rischio di subire elevate perdite sono inidonei per persone con bassa conoscenza dei prodotti finanziari e ridotta propensione al rischio.”

Queste ultime parole sono abbastanza indicative. Il governo ha deciso di soccorrere le banche per evitare perdite ai risparmiatori. Ma Giovanni sta fuori da questa categoria. Lui, che sa poco o niente di prodotti finanziari, e’ considerato un investitore sofisticato. Percio’ le perdite che subisce sono a suo carico. E’ questo che la banca gli ha detto.
E mi chiedo:
Che fa la Vigilanza della Banca d’Italia, la Consob, e gli altri organi di controllo? Ed il governo?
Perche’ le banche possono arricchirsi alle spalle di poveri risparmiatori ignari di quello che comparano e poi essere salvate dopo che hanno bruciato grossi capitali?
L’ironia della sorte e’ che Giovanni paghera’ due volte: una con la perdita dei propri risparmi e due con le maggiori imposte che dovra’ pagare perche’ lo stato copra le perdite delle banche che gli hanno appioppato prodotti finanziari a dir poco scabrosi.
E questo quando quelle stesse banche ed il loro top management rimarranno la’ perche’ il governo le ha salvate e proprio con i soldi dei risprmaitori e quindi anche di Giovanni.

E mi tornano alla mente le parole che il mio vecchio professore di liceo citava sempre:
“Il sonno della ragione genera mostri”.
Fino a quando dovremo pagare per i mostri che sonoin alcune banche nostrane?

lunedì 20 ottobre 2008

Italiani dimenticati di Bahia

Porto di Napoli, 1958. La nave francese era carica di italiani (per la maggior parte meridionali) con la tristezza e la speranza nel cuore. Tristezza perche’ abbandonavano la terra amata, loro e dei loro padri. Senza sapere se mai sarebbero tornati. Il dopoguerra aveva lasciato l’Italia distrutta ed il Sud Italia quasi senza speranze. O la fame o il viaggio. Viaggio verso l’ignoto.
E qui nasceva la speranza. Speranza di un mondo migliore, di una vita degna, non piu’ di stenti. In un mondo nuovo, dove (dicevano) davano la terra gratis. Il Brasile.
Il giovane siciliano con lo sguardo sveglio e la millenaria sapienza sicula sul volto, salutava idealmente la terra che aveva lasciato quando era partito dalla Sicilia.
Siculiana, provincia di Agrigento, che aveva lasciato a soli 20 anni, carico di speranze. Ora Pasquale (questo era il suo nome) doveva cominciare una nuova vita. Aveva cominciato gli studi per divenire agronomo ma non li aveva terminati. Il sussidio del governo italiano era venuto meno e non poteva permettersi di continuare gli studi.
Era sbarcato a Salvador nello stato di Bahia, in Brasile. Qui aveva cominciato piccoli lavori come commerciante. Andava fino a Sao Paolo a comprare stoffa e vestiti e li rivendeva a Bahia. I viaggi erano lunghi e difficili e non privi di rischi. Per darvi una idea oggi le strade di collegamento tra la Bahia e il Sud-est del Brasile sono state definite da vari studi in pessime condizioni. A quell’epoca neanche esistevano strade asfaltate. Viaggiare era una avventura. E i banditi ti potevano rapinare ed uccidere.
Ma la sapienza millenaria del simpatico siciliano lo aiuto’ a superare tutte le difficolta’. Non a guadagnare molto pero’. A sbarcare il lunario con dignita’. Il Brasile dell’epoca, terra di sogni e di promesse, si rivelo’ terra difficile, anche se gentile e ospitale.

Ora Pasquale siede qui davanti a me a raccontarmi la sua vita. Non e’ indigente per i parametri brasiliani. Guadagna circa 1200 reais al mese (circa 400 euro) ma deve pagarsi l’assicurazione di salute che si mangia quasi tutto, data la sua eta’ (70 anni). “Ma l’assistenza sanitaria offerta dall’Italia?” gli chiedo. Mi guarda e con un sorriso che tradisce tutta la bonarieta’ siciliana mi dice “Assistenza sanitaria, pensione? Macche’, il governo italiano non mi da niente, per loro non esisto”.
“Ne’ il governo italiano ne’ quello brasiliano”, continua. “Ma perche’?”, gli chiedo io, “qui in Brasile ne avresti diritto”.
E con uno scatto di orgoglio Pasquale mi risponde: “no, perche’ io sono considerato straniero qui in Brasile” e mi mostra la carta per straniero (RNE in linguaggio brasiliano).
Ma, incalzando, gli chiedo: “Per essere vissuto mezzo secolo qui in Brasile, avresti diritto a chiedere la naturalizzazione che ti da gli stessi diritti di un brasiliano”. E Pasquale mi risponde: “Mio caro Max, all’epoca dovevo rinunciare alla mia nazionalita’, quella italiana. Io sono italiano, ho orgoglio della mia patria e non ci rinuncio per niente al mondo. Per questo non ho diritto alla pensione brasiliana”.
Lo confesso: non so quasi niente di sistemi pensionistici italiani e brasiliani (forse dovrei perche’ vivendo in Brasile prima o poi ci passero’ anch’io). Ma penso che Pasquale dice il vero.

Il nostro simpatico amico siciliano dopo oltre mezzo secolo e’ orgoglioso di essere italiano. Guadagna molto poco ed e’ in ristrettezze finanziarie.
Il suo paese, l ‘Italia, lo ignora. Il consolato di Salvador di Bahia fa lo stesso.
In Italia avrebbe diritto alla pensione sociale. La costituzione italiana lo dice. Ma non e’ applicata per gli italiani all’estero.

Gli emigrati italiani in condizione di difficolta’ o indigenza sono una grande realta’. “Quanti sono?” mi chiede un lettore. Non lo so. Sicuramente molti di piu’ di quelli registrati dai consolati italiani, in Brasile e nel mondo. A Salvador una ong, APK, sta facendo il censimento degli italiani, in numero molto maggiore di quello registrato al consolato. Senza fondi statali. Si tratterebbe di un lavoro del governo italiano, che invece non lo fa, ne’ lo finanzia.
Perche’, se si tratta di cittadini italiani?

Pasquale mi guarda con un lampo di furbizia tutta siciliana e mi dice: “ Ne ho visti tanti come me che sono morti qui in Brasile come indigenti. Dopo il lunghissimo viaggio in navi, decenni vissuti in ristrettezze finanziarie qui in Brasile erano tutti fieri di essere italiani. E l’Italia e’ fiera di loro, che l’hanno lasciata per non morire di fame in patria?”.
Non lo so caro Pasquale, ma giro la tua domanda al governo italiano.

sabato 18 ottobre 2008

Gli italiani all’estero e i tagli della Finanziaria

“Caro Max ma perche’ non scrivi sui tagli della Finanziaria per gli italiani all’estero?” mi chiede con veemenza il mio lettore dallo stato di New York. “Il nuovo governo sta tagliando tutto e tu non dici niente. Perche’?”. Un’altro dai Caraibi gli fa eco: “Questi tagli sono cosi’ consistenti che bisogna dire qualcosa”. Calma miei lettori, calma.

Non mi sono nascosto alle mie responsabilita’. E non voglio stupirvi ne’ lasciarvi incolleriti con quanto sto per dirvi. Sono favorevole ai tagli del nuovo governo con un ma.
“Ma che dici Max?” sareste pronti a replicare in tanti. “Ma perche’?”

Per le parole del mio vecchio e caro professore di liceo, un tipo burbero e tosto, ma a cui piaceva dire la verita’. Ricordo le sue parole: “Quando si vede un provvedimento di un governo, di una istituzione, di un paese, mio caro Max, lascia perdere gli strilli e le grida, ma vedi solo i fatti.” . “Due sono i criteri: i beneficiati e le misure adottate”.

Devo confessare la mia ignoranza sul vasto provvedimento della Finanziaria per gli italiani all’estero. E vi spiego anche il perche’. Un motivo molto prosaico: la mia figlioletta di pochi mesi non dorme, i soldi per il bilancio familiare dell’italiano all’estero (il sottoscritto) sono pochi e non mi posso permettere una nursey. Devo ninnare da solo. Per questo non ho avuto il tempo di analizzare la nuova Finanziaria in dettaglio.

Tuttavia conosco bene due aree degli italiani all’estero e, in relazione a queste, possono esprimere un giudizio: la stampa italiana all’estero, gli emigrati in condizione di indigenza.

In relazione alla stampa italiana all’estero ho condotto una inchiesta che ha messo in evidenza (leggete il mio blog www.maxbono.blogspot.com per i dettagli) una vera e propria gomorra di spreco di fondi pubblici.

Le iniquita’, la altissima concentrazione di fondi pubblici a beneficio del gruppo Assopigliatutto- La Repubblica, i milioni di rivoli in cui si perdono i fondi pubblici in giornali e riviste mai pubblicati, inesistenti, con poche copie, con pubblicazioni inconsistenti, di qualita’ molto dubbia. Persone a dir poco folkloristiche per non dire sinistre, e a volte addirittura con fedina penale poco pulita. L’editoria italiana all’estero ha di tutto e di piu’. No mio caro lettore i tagli, la razionalizzazione delle spese in quest’ area non mi lascia per niente proccupato anzi. Finalmente arriva e speriamo che sia veramente giusta, che la finisca con gli sprechi colossali, che benefici chi il giornalista all’estero lo fa veramente, con articoli di qualita e sul territorio, sul web o sulla carta stampata in egual misura. Abbiamo chiesto a voce alta questa razionalizzazione e la vogliamo veramente.

Coloro che sono colpiti dalle misure del governo sono, per la maggior parte, persone che non meritavano, che ne approfittavano (per non dire di peggio). I beneficiati (si spera) dovrebbero essere quelli che il giornalismo all’estero lo fanno sul serio. Le misure adottate, la razionalizzazione ed i tagli sono pertanto misure giuste.

E veniamo al ma. Questo riguarda un’area che mi sta particolarmente a cuore, che conosco bene: gli emigrati in condizione di estrema indigenza. Purtroppo le misure (o per meglio dire l’assenza di misure) sono uguali a quelle del precedente governo. Ancora una volta gli emigrati indigenti che vivono nelle favelas brasiliane, argentine, sudamericane o di altri parti del mondo, sono abbandonati a se’ stessi. Assistenza sanitaria, pensioni sociali sono ancora un lontano miraggio. E’ buffo che le critiche a questo governo vengono dalla stessa parte che nel governo scorso non ha fatto niente per gli indigenti. Di nuovo la lezione del mio professore di liceo torna alle mie orecchie: i danneggiati dall’assenza di misure adottate sono italiani in condizione di difficolta’, indigenti.

Ma forse, al di la’ della mancanza di fondi per loro, quello che colpisce e’ la mancanza di sensibilita’ dell’italiano medio per questi emigrati indigenti. Nella gomorra napoletana sono morti 6 persone in una strage vergognosa contro gli immigrati africani. Nella gomorra di rio de janeiro sono morti in un giorno 30 persone mitragliate in una strage uguale a Duque de caxias, periferia di Rio. Nella gomorra di salvador di Bahia sono morti in una strage analoga piu’ di una mezza dozzina di persone. Succede quasi tutti i fine settimana, mi racconta un amico che vive li’.
Emigrato indigente italiano. Dimenticato dall’italiano di Italia, che pare sensibile alle gomorre nostrane e non a quelle che avvengono in altri paesi, anche se i suoi fratelli italiani all’estero vivono li’.

sabato 11 ottobre 2008

The end of the financial world

Lehmann disappeared. Merrill Lynch as well. Morgan Stanley seems to be the next one to disappear. AIG, together with Fannie Mare and Freddie Mac nationalized.
A gigantic rescue attempt of the financial system by the US government spending billions of dollars seems not to stop the anxiety of stocks investors all around the world, all taken by a selling frency. The world of investment banking built up in over a century, nearly disappeared in less than a week.

What’s happening? Is this the end of the world? Actually it is the end of the world, the end of the financial world. What does that mean? Let’s try to understand what is happening.

The service industry always took advantage of its position to get fat and often unjustified margins by its clients. And, within it, the financial industry was the one that got the fattest margins and (probably) the lowest value added for its clients.
In the past bank clients had to book an appointment and meet his/her bank manager to receive good advise and make “good” investments in stocks and bonds.
But this is history. Nowadays you can easily do the same thing over the net with a click of your mouse and without any time wasting. Well, you could argue that the advise of your bank manager is invaluable. But is it?
Over the net you could get such valuable information that, probably, not even a good branch manager of a large bank could give you. And so, whay would you pay so fat margins to your bank? Well, you would say that this phenomenon was already true in the recent past. What does that have to do with Wall Street financial meltdown? In fact it was the sub-prime loan crisis which spurred the meltdown, not the disintermediation and disintegration of the financial industry. True and not.

The sub-prime loan crises accelerated a trend which was already inevitable: the disappeareance of the financial industry the way it is now and the creation of two different financial worlds.
An investment and commercial banking group class which offers standardized products to its clients, and a small group of very high value added institutions which gives real valuable advise to their clients.

The investment banking industry had already undergone a change in the last years but few people had admitted it. The very same change that the commercial banking industry had undergone in the past.
As we might reckon, the standardization of the traditional banking and insurance products made unjustified the fat margins asked by the commercial banks and insurance companies. But, within the financial industry, the investment bank industry was still earning fat margins. The justification was simple: high value-added products offered by very experienced financial experts.
Capital market products (both in bonds, equities and derivatives), advisory on large corporate deals, short-term investments, wealth management and even tax optimization plans: these were most of the sophisticated products offered by the industry and people, corporations, commercial banks and insurance companies were willing to pay large margins to get those products.
But the true was that the products were not that sophisticated and, with the rapid diffusion of information due to the internet, they are easily accessable by most operators today.

In addition the greediness of the investment banking industry made it possible to speculate and make huge bets without the backing of the first and foremost tool of the industrial world: the capital. Regulators set very low capital (BIS) ratios and did not adjust them to the new reality of the financial world of derivatives. With huge leveraged positions made possible with new financial instruments an average trader within a financial firm could bet several times the entire capital of any investment banking group.
In fact what the sub-prime loan crises shows is the replication of Nick Leeson’s lesson at system level: the collapse of the industry due to wrong bets and highly leveraged positions against a relatively low capital base. HBOS case show how a well capitalized bank according to BIS standards in fact was not at all in today’s financial world. What Nick Leeson did at personal level the financial industry did as a system: to bet several times its capital to get high profits in an unsustainable situation of the real estate market. That explains why so many firms collapsed: virtually anyone did it without controls. Leverage against it own capital was absurd and untainable. Once one fell, most of the others came along.

The lack of controls and low capital base just accelerated a clear trend of the financial industry: its uselessness in today’s net world.
Nobody needs the old style financial industry. Neither the average man in the street nor the sophisticated investor nor the large corporations nor the governments.
All we need is a bunch of few institutions where we can deposit our money or get a loan from. And at a cheap rate, the base rate for the industry. But also all the other financial products could be offered as standardized and cheap products by the same institutions. There is virtually no sophisticated financial product not easily accessable at a cheap price anymore. Everything is available and standardized in today’s financial industry. And whoever charges high fees for financial products has his days numbered.
There is room only for a bunch of high value added advisors, capable of putting together sophisticated deals in the capital markets world or people with really true excellent analytical skills to make good investment decisions.
But the crowd of high fliers financial whizz-kids is something of the past. No illusions any more: you must get some real value added for the money today. Gone are the days of “good” advise on some secret deals made in the darkness which would make you rich.
Today nearly everything is standardized in the financial world. And whoever says the opposite might do so to justify his/her untainable margins. But today the financial client knows it and does not buy it anymore.