mercoledì 11 marzo 2009

L’attacco finale agli italiani all’estero

Finalmente se ne parla apertamente. E dire che i segnali c’erano da tanto tempo. Ma adesso ci sono entrambi. Le parole e i fatti. Ed entrambi dicono la stessa cosa: eliminazione dei rappresentanti italiani eletti all’estero.
“Ma cosa dici Max, vaneggi?” sembri pensare mio caro lettore. Ed invece no. E te lo dimostero’. Leggi qua sotto e vedrai se le mie sono parole campate in aria o una seria possibilita’.

Le parole. Dichiarazioni circa l’inutilita’ dei rappresentanti italiani eletti all’estero abbondano. Le prime dichiarazioni ci sono state sin dall’inizio della scorsa legislatura. In quella i rappresentanti italiani eletti all’estero erano decisivi per la maggioranza ma non seppero approfittare di cio’ per beneficiare i propri elettori. Al contrario furono quasi del tutto inconsistenti e, giustamente, molti di loro non furono rieletti. In questa legislatura non sono decisivi ed il loro peso ed importanza e’ stato ridimensionato drasticamente. E di nuovo le voci circa la loro eliminazione dal Parlamento italiano sono tornate con maggiore insistenza. Di certo non ha aiutato il carattere folkloristico di alcuni di loro o alcune irregolarita’ anche penali che hanno gettato un pesante cono d’ombra sull’intera loro categoria. Gia’ tacciati (indirettamente) di papponi, soldi sprecati dello stato italiano, si sa che la implacabile scure del Ministero delle Finanze sta cercando di eliminare tutte le spese considerate inutili. Difatti l’intera categoria degli italiani all’estero hanno subito una riduzione nel bilancio dello stato quasi epocale che testimonia la scarsa attenzione di questo governo agli italiani all’estero. E’ inutile nasconderlo. E’ un fatto. Cio’ altro non e’ che la continuazione di cio’ che e’ avvenuto in passato con il precedente governo, di opposta tendenza politica. Solo che le dichiarazioni sembrano anticipare un disegno di eliminazione della categoria dei rappresentanti italiani all’estero.

I fatti. Sembra ormai un fuggi-fuggi. Tra candidati a governi stranieri e italiani di regioni, provincie e comuni, sembra che i rappresentanti italiani eletti all’estero usino la loro carica come trampolino per una carriera in altri liti, molto spesso italiani. Nulla di male che un politico decida di cambiare obiettivo. Tuttavia il farlo quando esercita’ gia’ una carica per la quale e’ stato eletto denuncia per lo meno mancanza di attenzione verso il popolo dei suoi elettori, per non dire il loro tradimento. Il trasformismo e’ un male antico della politica italiana. Ma probabilmente mai si era visto che nell’arco di pochi mesi o qualche anno un eletto optasse subito per un’altra carica pubblica nel proprio o in un altro paese senza troppi complimenti per i suoi antichi elettori.
Ma la domanda e’: sara’ che questa scelta di cambiamento di campo e’ anche motivato dall’aria che tira, dal fiutare che ormai per i rappresentanti italiani eletti all’estero siamo alla frutta e che e’ meglio scegliersi un’altra carriera prima di rimanere a piedi?

Eh si mio caro lettore, parole e fatti sembrano andare in un’unica direzione: farla finita con i rappresentanti italiani eletti all’estero. Ma e’ un bene o un male?
Per cio’ che hanno prodotto (quasi niente) sembrerebbe essere un bene e tuttavia non lo e’. Ma ci vuole una seria correzione. Per evitare un trasformismo sfacciato bisogna che nell’esercizio del loro mandato gli eletti all’estero si appoggino ai rappresentanti delle comunita’ italiane all’estero. Ma non ai Comites e altre istituzioni barocche, senza alcun contatto con la realta’. Ma ai veri rappresentanti delle comunita’, quelli che hanno il polso della situazione, che ne conoscono i loro bisogni e che sappiano agire in loro difesa. Senza di questi i parlamentari italiani eletti all’estero saranno liberi di farsi irretire dalle sirene del potere e dimenticare da dove vengono e le loro comunita’. Diventando veramente un costo inutile che la scure de ministro del Tesoro potrebbe tagliare.

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