Porto di Napoli, 1958. La nave francese era carica di italiani (per la maggior parte meridionali) con la tristezza e la speranza nel cuore. Tristezza perche’ abbandonavano la terra amata, loro e dei loro padri. Senza sapere se mai sarebbero tornati. Il dopoguerra aveva lasciato l’Italia distrutta ed il Sud Italia quasi senza speranze. O la fame o il viaggio. Viaggio verso l’ignoto.
E qui nasceva la speranza. Speranza di un mondo migliore, di una vita degna, non piu’ di stenti. In un mondo nuovo, dove (dicevano) davano la terra gratis. Il Brasile.
Il giovane siciliano con lo sguardo sveglio e la millenaria sapienza sicula sul volto, salutava idealmente la terra che aveva lasciato quando era partito dalla Sicilia.
Siculiana, provincia di Agrigento, che aveva lasciato a soli 20 anni, carico di speranze. Ora Pasquale (questo era il suo nome) doveva cominciare una nuova vita. Aveva cominciato gli studi per divenire agronomo ma non li aveva terminati. Il sussidio del governo italiano era venuto meno e non poteva permettersi di continuare gli studi.
Era sbarcato a Salvador nello stato di Bahia, in Brasile. Qui aveva cominciato piccoli lavori come commerciante. Andava fino a Sao Paolo a comprare stoffa e vestiti e li rivendeva a Bahia. I viaggi erano lunghi e difficili e non privi di rischi. Per darvi una idea oggi le strade di collegamento tra la Bahia e il Sud-est del Brasile sono state definite da vari studi in pessime condizioni. A quell’epoca neanche esistevano strade asfaltate. Viaggiare era una avventura. E i banditi ti potevano rapinare ed uccidere.
Ma la sapienza millenaria del simpatico siciliano lo aiuto’ a superare tutte le difficolta’. Non a guadagnare molto pero’. A sbarcare il lunario con dignita’. Il Brasile dell’epoca, terra di sogni e di promesse, si rivelo’ terra difficile, anche se gentile e ospitale.
Ora Pasquale siede qui davanti a me a raccontarmi la sua vita. Non e’ indigente per i parametri brasiliani. Guadagna circa 1200 reais al mese (circa 400 euro) ma deve pagarsi l’assicurazione di salute che si mangia quasi tutto, data la sua eta’ (70 anni). “Ma l’assistenza sanitaria offerta dall’Italia?” gli chiedo. Mi guarda e con un sorriso che tradisce tutta la bonarieta’ siciliana mi dice “Assistenza sanitaria, pensione? Macche’, il governo italiano non mi da niente, per loro non esisto”.
“Ne’ il governo italiano ne’ quello brasiliano”, continua. “Ma perche’?”, gli chiedo io, “qui in Brasile ne avresti diritto”.
E con uno scatto di orgoglio Pasquale mi risponde: “no, perche’ io sono considerato straniero qui in Brasile” e mi mostra la carta per straniero (RNE in linguaggio brasiliano).
Ma, incalzando, gli chiedo: “Per essere vissuto mezzo secolo qui in Brasile, avresti diritto a chiedere la naturalizzazione che ti da gli stessi diritti di un brasiliano”. E Pasquale mi risponde: “Mio caro Max, all’epoca dovevo rinunciare alla mia nazionalita’, quella italiana. Io sono italiano, ho orgoglio della mia patria e non ci rinuncio per niente al mondo. Per questo non ho diritto alla pensione brasiliana”.
Lo confesso: non so quasi niente di sistemi pensionistici italiani e brasiliani (forse dovrei perche’ vivendo in Brasile prima o poi ci passero’ anch’io). Ma penso che Pasquale dice il vero.
Il nostro simpatico amico siciliano dopo oltre mezzo secolo e’ orgoglioso di essere italiano. Guadagna molto poco ed e’ in ristrettezze finanziarie.
Il suo paese, l ‘Italia, lo ignora. Il consolato di Salvador di Bahia fa lo stesso.
In Italia avrebbe diritto alla pensione sociale. La costituzione italiana lo dice. Ma non e’ applicata per gli italiani all’estero.
Gli emigrati italiani in condizione di difficolta’ o indigenza sono una grande realta’. “Quanti sono?” mi chiede un lettore. Non lo so. Sicuramente molti di piu’ di quelli registrati dai consolati italiani, in Brasile e nel mondo. A Salvador una ong, APK, sta facendo il censimento degli italiani, in numero molto maggiore di quello registrato al consolato. Senza fondi statali. Si tratterebbe di un lavoro del governo italiano, che invece non lo fa, ne’ lo finanzia.
Perche’, se si tratta di cittadini italiani?
Pasquale mi guarda con un lampo di furbizia tutta siciliana e mi dice: “ Ne ho visti tanti come me che sono morti qui in Brasile come indigenti. Dopo il lunghissimo viaggio in navi, decenni vissuti in ristrettezze finanziarie qui in Brasile erano tutti fieri di essere italiani. E l’Italia e’ fiera di loro, che l’hanno lasciata per non morire di fame in patria?”.
Non lo so caro Pasquale, ma giro la tua domanda al governo italiano.
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