mercoledì 31 dicembre 2008

Internet: il giornalista protagonista dell’ informazione

“Mio caro Max tu parli di internet e notizie, perche’ non chiarisci chi vince e chi perde da questo cambiamento che sta avvenendo nel mondo dell’informazione?” mi chiede il mio lettore da Tucson, Arizona, USA.
Devo dire che da quando ho cominciato a scrivere sul mondo dell’editoria e dell’informazione in generale l’attenzione a cio’ che scrivo e’ aumentata vertiginosamente. Ricevo continuamente richieste di chiarimenti a riguardo.
Se non fosse per il lavoro (pagato) che svolgo per APK, la ong di assistenza degli italiani del Nord Est del Brasile (apk.salvador@yahoo.com.br) , non riuscirei a sopravvivere perche’ il lavoro di giornalista e quello di rispondere alle emails dei lettori e’ quasi non remunerato.
Ma voglio rispondere alla domanda del mio lettore italo-americano perche’ riguarda un punto essenziale del giornalismo attuale.
Internet ha per sempre cambiato i rapporti di forza all’interno del mondo dell’informazione con uno shift (spostamento) epocale del focus dal giornale al giornalista. Mi spiego.
In passato un giornalista che chiamava una persona per raccogliere notizie o per una intervista si qualificava dicendo ad esempio: “ Lavoro per il Corriere della Sera, per la Repubblica”. Oggi no.
Quando chiamo per raccogliere informazioni dico: “Sono Max Bono, giornalista”.
Il cambiamento e’ abissale e si spiega con un altro cambiamento altrettanto importante che e’ avvenuto nel mondo dell’informazione. Oggigiorno i giornali come veicoli di informazione sono inutili. La pura notizia, cio’ che e’ accaduto nel luogo X all’ora Y, e’ di dominio pubblico grazie ad internet. Chiunque puo’ sapere le notizie in tempo reale senza problema.
E’ finita l’epoca in cui solo il giorno dopo, leggendo il giornale, si conosceva cio’ che era accaduto. Cio’ era gia’ cambiato con l’avvento della tv ma internet ha mutato cio’ in maniera radicale. In pratica i giornali cartacei hanno gia’ cambiato la loro funzione. Come veicoli di informazione sono inutili, persino dannosi perche’ possono indurre ad errori di informazione. L’unico valore aggiunto di un giornale e’ nel commento che danno alla notizia, non nella notizia in se’.
Ma (ovvio) il commento deve essere di qualita’ perche’ altrimenti anch’esso e’ inutile. Percio’ il giornale (tanto fisico quanto on-line) ha disperatamente bisogno di giornalisti che scrivano commenti di qualita’. Giornalisti- analisti che vedano al di la’ della notizia per interpretare e vedere cio’ che essa comporta per il futuro di tutti noi.
Il lettore compra il giornale per questo, per avere un valore aggiunto alla notizia in se’, che puo’ avere gratis da internet. Si tratta pertanto di un cambiamento abissale che colloca il giornalista commentatore al centro del mondo dell’informazione. Il giornale ha perso per sempre la sua centralita’ nel mondo dell’informazione, sostituito dal giornalista. Il preistorico mondo dell’editoria italiana non ha ancora capito cio’ e questo spiega perche’ molti giornali stanno affondando nelle vendite. E’ pero’ vero che l’intero modello di business dell’informazione e’ cambiato.
Il giornalista commentatore ha tuttavia ancora molta difficolta’ ad emergere e per questo deve svolgere un secondo lavoro, specie se non appartiene alla “casta” del mondo dell’informazione del passato. L’editoria italiana per decenni e’ vissuta sulle notizie “pilotate” e si rifiuta disperatamente di accettare il cambiamento imposto dal mondo di internet. Ovvio, non ci riuscira’, ma sicuramente sta ritardando il cambiamento.
Parlando di cambiamenti, molti mi chiedono ad esempio perche’ scrivo per vari giornali on-line piuttosto che per quelli “fisici”. Beh, la spiegazione e’ la seguente. Il tempo medio tra scrivere l’articolo e la sua pubblicazione on-line e’ di un giorno mentre sui giornali “fisici” (che in piu’ vogliono l’esclusiva) e’ di 3 – 4 giorni. In pratica quando pubblicato sul giornale cartaceo il mio articolo e’ gia vecchio.
Francamente preferisco la diffusione on-line, anche se quasi non remunerata, ma libera rispetto a quella cartacea, mal pagata, che esce con grande ritardo, con “direttive” su come scrivere e che scrivere.
Tanto, penso, il giornalista commentatore on-line e’ il futuro anzi il presente e nel frattempo continuo, per il mio sostentamento, a lavorare per APK.

domenica 28 dicembre 2008

Internet, il vero giornale degli italiani all’estero

“Quali sono i giornali italiani che leggi?” chiedo al mio intervistato. Ho fatto questa domanda migliaia di volte intervistando gli italiani di Bahia per la ricerca della ong APK, l’unica di assistenza della comunita’ italiana del Nord Est del Brasile (apk.salvador@yahoo.com.br).
Cio’ che impressiona e’ che la risposta e’ stata quasi sempre la stessa: “Tutti, chiaro su internet”. Ed inoltre: “ I giornali italiani sono carissimi qui in Brasile, arrivano con grande ritardo, con notizie vecchie. In internet invece ricevi le notizie in tempo reale, riesci a leggere persino le notizie della tua cittadina di appartenenza, e, ovvio, costa pochissimo”.
Internet ha permesso di mantenere il legame con la madrepatria tramite il continuo aggiornamento delle notizie. In passato i costi proibitivi dei giornali scoraggiavano l’acquisto degli stessi da parte degli italiani all’estero e di conseguenza le comunita’ all’estero perdevano gradualmente il contatto con l’Italia.
L’immagine della nostra patria diveniva opaca, folkloristica, senza contatto con la realta’ attuale. Oggi tutto questo non esiste piu’. Persino ultrasettantenni leggono con regolarita’ le notizie che accadono in Italia con la dimestichezza di ragazzini. L’immagine dell’Italia e’ la stessa che si ha in Italia, persino i tormentoni politici che si commentano sulle spiaggie brasiliane dall’italiano di turno sono gli stessi che in Italia. L’italiano all’estero conosce (o meglio puo’ conoscere) l’Italia come l’italiano in patria.
Ci sono tuttavia alcuni fenomeni interessanti che riguardano l’informazione on-line e gli italiani all’estero poco conosciuti o discussi. In primo luogo mentre l’italiano all’estero sa benissimo cosa accade in Italia non e’ vero il contrario. L’immagine dell’italiano all’estero in Italia e’ ancora molto folkloristica, e’ l’immagine del “paisa’”, dell’emigrante con la valigia di cartone. Una immagine tanto falsa quanto quella che avevano gli italiani all’estero di quelli in Italia in passato. Solo che l’italiano all’estero si e’ aggiornato grazie ad internet mentre l’italiano in patria no.
E’ forse questa la vera ragione della disaffezione (per non dire dell’immagine di “pappone”) che l’italiano in patria ha di quello all’estero. Sfortunatamente la cosiddetta “informazione di ritorno”, l’informazione circa le comunita’ italiane all’estero da parte di giornalisti italiani sul luogo, quasi non esiste in Italia. Al contrario i sussidi governativi per la stampa italiana all’estero (quelli si’) vanno, per la maggior parte, a “papponi” che pubblicano giornali italiani all’estero che ben pochi leggono. Questi sussidi dovrebbero essere indirizzati allo sviluppo dell’informazione di ritorno invece che essere “sprecati” in mille rivoli o andare a foraggiare il gruppo Assopigliatutto-La Repubblica con il “metodo” dei quotidiani teletrasmessi.
Infine e’ interessante la discussione che si strascina per anni sul “sesso degli angeli” riguardo a Rai international. Una discussione francamente inutile perche’ Rai international all’estero la vedono in pochi per non dire in molto pochi. Di nuovo i costi elevati associati a ricevere il segnale tramite la tv via cavo o satellite scoraggia seriamente l’italiano all’estero. E perche’ poi? Con internet vedi con un po’ di ritardo le trasmissioni rai senza alcuno costo.

E’ evidente che internet ha distrutto per sempre il mondo preistorico dell’editoria italiana. E questo e’ ancora di piu’ vero all’estero. Paradossalmente pero’ ha anche centralizzato l’attenzione del teleutente sui giornali tradizionali, nella loro versione on-line. Mi spiego.
Il “brand” dei giornali tradizionali e’ decisivo nel momento di scegliere dove leggere le notizie. In pratica si va in google si scrive il nome della testata nazionale piu’ famosa o conosciuta e si leggono le notizie italiane. Mai prima d’ora i giornali tradizionali sono stati tanto forti e tanto deboli. Tanto forti perche’ sono i principali che si leggono in internet, tanto deboli perche’ i giornali fisici (anche in Italia) si leggono sempre meno. Riportano notizie vecchie, inutili. In prastica vale la pena leggerli per i commenti e per i titoli a nove colonne piu’ che per le notizie. Questo spiega perche’ i giornali sportivi sono sempre sull’auge dell’onda in Italia.
Un’ altro fenomeno ancora piccolo anche se in crescita vorticosa riguarda i giornali on-line poco conosciuti o i siti blog. Questi non hanno “il nome” ma nella ricerca in google escono anche loro. Ed il lettore, una volta che li sperimenta, se gli piacciono, torna sempre di piu’. Ed alla fine persino abbandona il giornale tradizionale, limitatamente pero’ all’area di competenza del giornale on-line specializzato.

Morale della storia: i giornali cartacei hanno un valore ed un impatto sempre piu’ ridotto mentre molto maggiore e’ l’impatto delllo stesso giornale online. I giornali online “nuovi” invece stanno attraversando un severo processo di selezione naturale accentuato dalla recente crisi economica e sopravviveranno solo quelli che dimostreranno di avere una specializzazione vera nell’area di competenza. E cio’ per i giornali degli italiani all’estero significhera’ avere una vera informazione di ritorno, non una copia sbiadita della comunita’ italiana che esce dai libri di storia dell’emigrazione.
Ora pero’ mi fermo e torno al duro lavoro di ricerca per APK. Se aspetto i sussidi governativi sto fresco. Al momento la mia informazione di ritorno mi da un ritorno di buon immagine ma non un altrettanto ritorno finanziario. Devo guadagnarmi la pagnotta io e con l’inflazione crescente qui in Brasile (altra informazione di ritorno che vi passo) non posso aspettare i tempi biblici del governo per la modifica dei criteri di erogazione dei fondi pubblici all’editoria italiana all’estero. E qualcosa mi dice che anche questa ci sara’, i futuri beneficiari saranno i soliti noti.

sabato 27 dicembre 2008

Brasile, dove essere "differenti" non fa molta differenza

“Max tu scrivi tanto bene degli italiani all’estero ma non parli mai di quelli con difficolta’ psico-motorie, quelli che in Italia vengono definiti disabili”. Lo confesso, l’osservazione del mio lettore italiano e’ vera. Ma non perche’ non voglia scrivere sull’argomento. Al contrario. La ragione vera a ha che vedere con il modo di vivere che si ha in Brasile.
Le persone che vengono a vivere qui lasciano tutto alle spalle. Tutti i problemi, fisici e psicologici. Qui le persone sembrano cominciare una nuova vita. Qui tutti sono uguali. Questo e’ veramente il paese in cui si ricomicia una vita nuova, da zero. E qui i disabili, i “differenti” non lo sono poi tanto. Al contrario. E cio’ perche’ le persone non sembrano poi tanto impressionate dai “difetti” fisici o psicologici. E la storia che vi racconto oggi sembra provare cio’.

Sono nel quartiere turistico della Barra a Salvador de Bahia. Per il mio lavoro di analisi della comunita’ italiana di Bahia con la ong APK (apk.salvador@yahoo.com.br ) incontro italiani di tutti i tipi.
Ma quello che incontro in questa calda notte estiva di Salvador e’ sicuramente una persona speciale. Un simpatico siciliano di Catania che ha un famoso ristorante - pizzeria di nome “Luna Rossa”. Mario, come lo conoscono tutti, e’ una di quelle persone con la sua simpatia ti cattura subito. Gioviale persona di 52 anni, e’ proprietario del ristorante con alcuni soci. In piu’ svolge attivita’ di consulenza per alcune ditte importanti. Ha avuto una vita “movimentata” in cui si e’ sposato e separato e adesso ha una nuova compagna. Guida, ha tre figlie, conosce bene la citta’ di Salvador dove ha lavorato tanti anni come executive di una impresa. Il suo ristorante e’ molto avviato, ha una clientela fissa, il che non e’ facile per una citta’ turistica come Salvador. Mario ha viaggiato molto in Brasile e torna in Italia spesso, ma come turista perche’ la sua vita vera e’ qui a Bahia ora.
La conversazione scivola via amabile e simpatica. E nel finale Mario mi racconta dell’incidente. Un incidente terribile sul lavoro. L’esplosione gli tiro’ via le braccia. Rimasero solo alcuni lembi delle braccia che usa per chiamare col cellulare. Ma anche per guidare. Mario mi dice: “Vedi caro Max la vita a Bahia mi piace molto e per questo non tornerei piu’ in Italia. Ma c’e’ anche un’altra cosa. Una persona come me qui a Salvador fa una vita perfettamente normale. In Italia non sarebbe cosi’. Mi guarderebbero sembre con quell’aria di pietismo che mi fa piu’ male e rabbia dei miei “problemi” fisici. In Italia la mentalita e’ questa: sarei considerato come uno che va bene solo per il circolo della briscola, che non esce di casa, che si vergogna di cio’ che e’. Qui no, qui ho avuto molte donne, una carriera discreta, una famiglia, insomma tutto cio’ che “gli altri” hanno senza sentire quella aria di finta compassione e senza sentire quel “poverino” che vedo negli occhi della gente quando vado in Italia”.

E bisogna ammetterlo. In Italia una persona con difficolta’ psico-motorie, un disabile come si dice, e’ visto come un diverso. E forse lui stesso si sente tale, si sente colpevole di cio’ che ha. Ma in realta’ lui non ha niente. E’ la societa’ che gli affibbia il “titolo” di disabile. Qui in Brasile Mario e’ il proprietario del ristorante, e’ l’italiano, non e’ il disabile. Lui non e’ colpevole ne’ si sente tale.
Forse sara’ perche’ questo paese non ha la cultura europea. Una cultura magnifica e a volte terribile. Che condanna senza processo il “diverso”. In Brasile, invece, ci sono mille razze, lingue religioni, in pratica sono tutti diversi. Per questo nessuno e’ diverso. E questo Mario lo sa.
Mentre esco dal ristorante entra una coppietta. La ragazza sorride a Mario che con un largo sorriso da marpione italiano sorride ai due. E si’ mi sa proprio che Mario ci sa fare, che si diverte sul serio nella vita.

giovedì 25 dicembre 2008

Gli italiani? Sono fratelli e non lo sanno

“Max tu sei una persona intelligente. Cerca percio’ di risolvere questo mistero. Perche’ a differenza degli spagnoli, portoghesi, inglesi, americani, etc. gli italiani quando sono all’estero sono sempre disuniti, distanti, individualisti, non fanno gruppo, ognuno per se’ e Dio per tutti, specie qui in Sudamerica?”.

Siamo al Farol da Farra, posto turistico per eccezione di Salvador. Seduti al tavolino sono io, napoletano, il mio amico Paolo, toscanaccio inveterato, Gianni, milanese purosangue, Peppe, siciliano con la tipica sapienza della sua splendida isola, e Romolo, (inutile dirlo) di Roma.
Un gruppo eterogeneo, raro a formarsi all’estero, che pero’ rappresenta quello stivale che si chiama Italia.

“E’ proprio un bel mistero, difficile da risolvere” dico io “ma cerchiamo di risolverlo. Se ci fossero riusciti in passato, gli italiani non avrebbero passato tanti problemi, tanto in Patria quanto all’estero”. “Diciamocelo francamente” interviene Paolo, “l’italiano e’ diffidente, non ha spirito di corpo. Gli spagnoli, a confronto, agiscono come un tutt’uno, danno il “dizimo” (un decimo dello stipendio) per il club che rappresenta il loro paese senza alcun problema, agiscono come una corazza, fanno business tra loro”. E Peppe interviene “La colpa di tutto e’ che, come diceva Metternich, l’Italia e’ una espressione geografica. E’ unita da poco piu’ di 150 anni, ad eccezione del Sud Italia che e’ unito da piu’ tempo. Ed infatti gli italiani del sud sono piu’ solidali tra di loro, si sentono piu’ fratelli, mentre quelli del Nord ed anche quelli del Centro sono piu’ distanti da noi, tanto culturalmente quanto mentalmente.” E Gianni interviene
“E’ vero, come e’ vero che quelli del Sud sono tradizionalmente visti con diffidenza al Nord ed anche al Centro. Non sempre e non da tutti. Ma la storia della mafia, della sporcizia, dell’eterno tentativo di saltare la fila da parte di quelli del Sud e’ radicato tra di noi. Io so che non e’ vero, ma e’ inutile dirlo che fa parte della nostra cultura”. “Ricordo che una volta lavoravo a Milano in una famosa banca” intervengo io, “e la mia segretaria credendomi di farmi un complimento mi disse: sai Max tu lavori tanto e bene, neanche sembri napoletano. E’ pero’ vero che noi del Sud abbiamo le nostre colpe e tante, specie nella connivenza con certe situazioni poco trasparenti che succedono, specialmente al Sud.”

“Questo non significa che siamo tutti mafiosi”, interviene Peppe punto sul vivo, “provateci voi nordici a vivere con persone che se parlate vi ammazzano senza pieta’ e senza che nessuno dello Stato alzi un dito”.”Come diceva Kennedy, non chiedete cosa lo stato possa fare per voi, ma cosa voi potete fare per lo Stato” afferma Paolo. “Sacrosante parole” affermo io.”Nella mia vita mi sono sempre opposto a quella atmosfera di eterna rassegnazione che ho vissuto a Napoli. Non che i napoletani siano passivi, al contrario. Ma e’ che ci si aspetta sempre un intervento che cada dal cielo a risolvere i nostri problemi. Siamo noi che li dobbiamo risolvere, anche andando fuori se necessario invece che stare fermi a lamentarci”.

E forse la ragione di questa scarsa unita’ nazionale (unica eccezione e’ la partita della nostra nazionale di football) e’ che siamo una nazione apparentemente giovane, siamo uniti da poco tempo, abbiamo molte lingue culture differenti, modi di pensare, di esprimerci che sono anche in contraddizione tra di loro. A volte ci fidiamo piu’ di uno straniero che di un compatriota di una regione differente. E questo rimane all’estero, si trasmette tra generazioni anche all’estero, genera questa mancanza di unita’ che si esprime nella disgregazione della comunita’ italiana all’estero. Tuttavia c’e’ un ma.


Gli italiani, indipendentemente dalla regione di provenienza, sono veramente fratelli tra di loro e non lo sanno. Il loro comportamento abituale e’ veramente simile, la loro cultura e’ la stessa. Gli italiani all’estero si vedono al bar, parlano di calcio, vestono con stile, mangiano pasta con il pomodoro, bevono il caffe’ “corretto”, guardano le donne che passano con ardente desiderio. E questo in maniera uguale quelli del Nord quelli del Centro e quelli del Sud. Sono sempre un po’ spacconi, hanno sempre l’aria di saperla lunga (anche se poi molto spesso prendono “bidoni” senza saperlo), interrompono sempre la conversazione per vedere la bionda o la bruna che passa.
Questo comportamento e’ veramente italiano, totalmente italiano, e’ il nostro popolo che esprime i duemila anni della nostra storia. E’ vero siamo vissuti separati per secoli. Ma la nostra cultura di base e’ la stessa, siamo uguali nel nostro modo di pensare.
Siamo tutti figli dell’impero romano, del liceo classico, della moda delle discoteche, del vestirsi bene, del mangiar bene, della vanita’ tutta italiana.
E allora dovremmo ammetterlo che siamo un unico popolo, dovremmo smetterla con questa eterna diffidenza verso il connazionale quando apprendiamo che non e’ della nostra regione di appartenenza.
Tanto che lo vogliamo o no siamo tutti figli d’Italia e piangiamo insieme quando la nazionale di calcio che ci rappresenta vince la Coppa del Mondo.

sabato 20 dicembre 2008

Italiani indigenti all’estero: una triste realta’ dimenticata

“Caro Max ma perche’ non parli piu’ degli emigrati indigenti? Sono passati di moda?” mi chiede il mio lettore da Austin, Texas, USA. No caro lettore non sono passati di moda, non sono mai stati di moda. Al contrario l’Italia non ne vuole sapere. Ma bisogna parlarne perche’ sono cittadini italiani a tutti gli effetti. E oggi vi parlero’ di uno che conosco bene, una persona tanto buona quanto sfortunata.
Dani e’ una persona che ha avuto tante disavventure ma la cosa incredibile e’ il finale della storia e come l’assoluta assenza di interventi delle autorita’ italiane lascia questo nostro connazionale vivere in una favela di Salvador de Bahia. Che, al contrario di quelle di Rio de Janeiro, e’ caratterizzata dalla assoluta assenza di condizioni sanitarie basiche (servizio di scolo di liquami), di strade, di sicurezza basica, insomma in una parola di tutto cio’ che oggigiorno a torto o a ragione viene definito di civilizzazione. Ma andiamo con ordine e raccontiamo per sommi capi la storia di questo nostro connazionale abbandonato da tutto e da tutti a Salvador de Bahia.

Dani non e’ uno sbandato o una persone senza formazione professionale. Al contrario e’ un cameramen professionista che ha lavorato per la Rai, per varie imprese di Milano (sua citta’ di origine) dove ha fatto spot di successo per imprese anche famose. Una persona che guadagnava bene con uno stile di vita non elevatissimo ma neanche di basso livello. Dani aveva un debole per il Brasile ed in particolare per la Bahia dove era stato in viaggio in passato. Un’ altro italiano innamorato de Brasile direte voi miei cari lettori. Probabilmente e’ vero.

La vita in Brasile e’ cosi’ differente da quella in Italia che a volte sembra di essere in un altro pianeta. Purtroppo pero’ le cose piu’ spiacevoli e meno veritiere sul Brasile si scoprono dopo, non quando si viene come turista ma quando si viene a vivere qui. E poi se si viene nel Nordest del Brasile si vive una realta’ a sua volta completamente differente da quella di Sao Paolo o Rio de Janeiro. Qui la vita e’ apparentemente molto piu’ bella e disinibita, in realta’ molto piu’ dura e difficile per chi non ha “i soldi”. Quello dappertutto direte voi lettori. E’ vero, ma qui e’ molto piu’ vero.
Perche’ senza “i soldi” non si riesce a vivere semplicemente perche’ non c’e’ lavoro per uno straniero, ad eccezione quello di professore saltuario di lingua. Avere buone qualificazioni molto spesso non e’ sufficiente perche’ l’ ambiente sociale di livello e’ virtualmente chiuso per chi vuole valorizzare le sue conoscenze. Senza avere cio’ che veramente conta, “i contatti”.
Con il risultato che chi non porta un capitale per cominciare e va a Bahia non ha praticamente possibilita’ di trovare un lavoro qualificato, a meno che non l’abbia trovato prima di arrivare. Arrivare senza soldi e senza un lavoro contando solo con un buon curriculum significa rischiare seriamente di finir male.
Risultato: nonostante il buon curriculum Dani ha trovato a Bahia solo lavori saltuari dando lezioni private di italiano. Paga misera ma ancora un po’ decente.
Ma questa della paga e’ stata solo uno dei problemi e nemmeno il maggiore.
I problemi veri sono stati altri. Dani sembra essere un enciclopedia di casi sfortunati. E’ sposato e separato da una moglie con due figli. Ha avuto un altro figlio con un altra donna che si e’ rivelata una approfittatrice che per “spremergli” soldi e’ fuggita con il figlio che ha lasciato con la nonna che vive in una favelas nell’interno dello stato. Qui il figlio di Dani vive con altri figli, anche loro abbandonati dalle loro madri, a loro volta tutte figlie della nonna che ha insegnato alle figlie il “mestiere” di rimanere incinte per partorire e poi spremere soldi ai loro padri. Purtroppo i bambini vivono in condizioni che per un italiano sarebbero considerate disumane ma che nell’interno dello stato di Bahia non sono considerate poi cosi’ anormali.
Dani mi aveva chiesto se pubblicizzando il suo caso in Italia c’era la possibilita’ per lui avere assistenza legale qui in Brasile. Io gli avevo spiegato che la sensibilita’ verso gli italiani all’estero oggigiorno e’ cosi’ bassa da essere livello zero. Speranze nulle praticamente. Lui era disperato. Per un uomo di piu’ di 40 anni rassegnarsi a lasciare il figlio in quella situazione era un dolore indicibile. In Brasile qualunque azione legale per togliere i figli alla madre e’ quasi certamente destinata ad essere persa. In questo modo la madre guadagna la guardia legale del figlio e la tanto sospirata “grana”, gli alimenti del padre. Non e’ una regola ma quando la condizione sociale della madre e’ molto debole cio’ che e’ accaduto a Dani non e’ improbabile, anzi.
Ma la sfortuna di Dani non e’ finita qui, anzi. Dani viveva in un palazzo di classe bassa al centro di Salvador. Le difficolta’ finanziarie per sostenere i costi della causa erano troppo grosse per poter rimanere a vivere al centro. Si e’ cosi’ trasferito in una favela del Contorno vicino al centro (Campogrande). E qui una serie incredibile di casi sfortunati hanno fatto precipitare la sua situazione. Si e’ tagliato un piede camminando su una pietra aguzza nel mare e dopo qualche tempo ha avuto un incidente e ha battuto la testa. La ferita al piede si e’ infetta e insieme a quella alla testa ha provocato una infezione generalizzata in tutto il corpo. E’ stato internato all’ospedale con pericolo di vita. Quanto e’ tornato alla “casa” nella favela gli avevano rubato tutto. In piu’ per mantenersi ha continuato a dare lezioni di italiano ma il camminare gli ha provocato l’apertura della ferita al piede e una nuova infezione. Di nuovo l’ospedale.
La cosa tragica e’ che non ha un soldo. Se va a lavorare la ferita’ si infettera’ di nuovo e rischia la vita. Se non va, muore di fame. L’ho visitato nella favela. La sua “casa” cui si arriva tramite una strada tortuosa sul mare e’ una stanza semplice da pranzo piu’ un’altra separata da uno straccio che funge da separe’. Li’ un rozzo letto coperto da stracci e’ dove Dani dorme insieme ad altri 4 o 5 persone della favela. Chiunque in qualunque momento puo’ entrare in casa, rubare tutto ed andarsene. Chiunque puo’ ammazzare chiunque, mettergli una pietra al collo e gettarlo nel mare e mai sara’ trovato. Topi e liquame a cielo aperto. Le persone fanno i propri bisogni nel mare.
“Ma non hai chiesto aiuto a nessuno?” gli ho chiesto mentre occhi furbi da finestre e dai cespugli della favela spiavano ogni mio movimento. “Certo, ma mia madre mi ha detto che non vuole saperne. Stesso discorso per gli amici e conoscenti. Il consolato poi e’ inutile parlarne”. E aggiunge “ora sono qui e non ho nemmeno 10 reais (meno di 4 euro) per mangiare e mi sento gia’ molto debole”. “Ma perche’ non te ne vai?” gli chiedo e lui: “e dove? Senza un soldo, con il piede tagliato. E poi i miei figli sono a Bahia, se me ne vado non li vedro piu’”.
Lasciatemi dire una cosa: il fatto che un cittadino italiano si trova in situazione come questa descritta e’ una autentica vergogna. Gli indigenti italiani all’ estero sono una drammatica e attualissima realta’. E questa storia che mangiano a sbafo dell’Italia e’ abominevole.
Prima di andamene Dani mi chiama. “Ti do il numero di telefono di mia madre. Cosi’ se muoio faglielo sapere. E’ giusto cosi’” mi dice senza rancore, anzi con amore per la propria madre.
E con una piccola lacrima che spunta dal mio volto, gli rispondo “Non ti preoccupare, ciao.”

Papponi: in Italia o all’estero?

Lo confesso. Sono un pappone.
Secondo la definizione del dizionario italiano pappone e’ colui a cui piace pappare, mangiar bene. E a me piace. E molto.
Anche se per le carenze del bilancio familiare non lo posso fare sempre. Pertanto pur non partecipando alla Conferenza degli italiani nel mondo a Roma non mi sento per niente offeso dalle dichiarazioni del giornale Libero.
E si’ perche’ bisogna riconoscere due cose.
Primo in Italia siamo in democrazia e ciascuno e’ libero di dire stupidaggini, di qualunque tipo. Secondo e ben piu’ importante perche’ la dichiarazione del giornale Libero non e’ isolata contro gli italiani nel mondo.
Libero esprime il sentimento comune che si ha in Italia (ed anche dentro il governo) verso gli italiani all’estero. Papponi, a sbafo. Persone che sanno solo lamentarsi e chiedere soldi all’ Italia. Le comunita’ italiane all’estero sono considerate con fastidio, con antipatia, quasi con disgusto. “Ma cosa vogliono questi? Ma perche’ non spariscono una volta per tutte?” sembra dire il sentimento comune in Italia verso gli italiani all’estero. E Libero che, anche se e’ un grande pappone di sussidi pubblici cerca pur sempre di vendere qualche copia, interpreta questo sentimento italico diffuso. La colpa non e’ di Libero, che scrive solo cio’ che vende. La colpa e’ di questa disinformazione che crea il mito degli italiani all’estero come eterni lamentoni che mangiano a sbafo del governo italiano.
Tuttavia se vediamo alcune recenti inchieste sulla stampa italiana all’estero scopriamo che i papponi tra noi ci sono e tanti. Ma soprattutto che il piu’ grande pappone di tutti, che riceve piu’ dell’ 80% dei sussidi alla stampa italiana all’estero in maniera indiretta con il sistema dei quotidiani teletrasmessi e’ in Italia il gruppo Assopigliatutto-La Repubblica.
Buon pappone questo. E’ pur vero che le briciole che lascia sono pappate da gruppi editoriali locali all’estero che, con qualche eccezione, sono di dubbia fattura o agiscono in maniera illegale.
Tornando in Italia Libero entra nella categoria dei papponi nazionali grazie ai grandi sussidi ricevuti per vendere un giornale di dubbia qualita’.
La colpa di tutto probabilmente e’ dei rappresentanti italiani al Parlamento eletti all’estero, che pappano quasi tutto e ci elargiscono a noi poveri italiani all’estero dichiarazioni tanto gentili quanto ridicole nei contenuti e negli effetti. E che hanno fatto per noi finora? Quasi niente.
Mah, lasciatemi finire di pappare questa pappa al sugo di pomodoro.
Questa, perlomeno, l’ho pagata io. Sono libero io, anche se non pappo sussidi pubblici.