martedì 28 dicembre 2010

Battisti, l’ultima beffa ai danni degli italiani all’ estero

Siamo tutti li’ a fare la conta al rovescio per il capodanno con lo spumante in mano. Meno 5, meno 4 , meno 3 meno 2 meno 1 e stop: Lula concede asilo politico a Cesare Battisti, condannato per pluriomicidio in Italia. Colpo di scena all’ ultimo secondo l’assassino italiano guadagna le vacanze a Copacabana per il resto dei suoi giorni. Il chicken game è finito. Il banco vince.

Ve l’aspettavate? Si? No? Forse? La querelle del caso Battisti è stata talmente discussa, ridiscussa, affrontata da tutte le angolature che francamente gli italo-brasiliani sono in attesa della fine. Altra cosa è il lieto fine pero’. Quello non ci sara’ probabilmente.

Cosa si puo’ apprendere da questa storia? Che l’Italia ancora una volta ha perso una occasione per valorizzare il suo popolo oltre frontiera, quello degli italiani all’ estero.
I 30 milioni di italiani oriundi che fanno del Brasile il paese piu’ italiano al mondo fuori dei confini nazionali sono dimenticati, guardati con indifferenza per non dire con distacco.
L’Italia ignora i suoi figli. Non vuol sapere di loro. La disapora italiana, la maggiore della storia dell’umanità è ignorata dalla Patria.
Nessuna sorpresa che poi l’Italia non è in grado di influenzare minimamente la politica del Brasile nemmeno nel farsi ridare il pluriomicida condannato in Italia.
Umiliata da un paese che annovera tra i suoi massimi dirigenti molti con il nome italiano. Ma solo il nome è italiano. Il resto è brasiliano.

Perchè? Perchè l’ Italia non ha una politica verso gli italiani all’ estero. Meno ne sente parlare meglio è. Quando un businessman italiano viaggia all’ estero l’ultima cosa che fa è consultare un italiano nel paese dove si reca. Al contrario degli inglesi o americani o francesi.

L’Italia e gli italiani in Italia non sanno valorizzare il loro patrimonio all’ estero. Al contrario sono completamente ignoranti a riguardo e non lo conoscono. Risultato: una politica estera altalenante, senza direzioni, senza scopi. Una politica estera da bocciare in toto.
E questo non perchè la destra è al potere. La sinistra faceva la stessa cosa. La cosa paradossale è che quando si tratta di italiani all’ estero le differenze tra i blocchi politici italiani scompaiono.

La politica è la stessa. Ignorare gli italiani all’ estero. Di tanto in tanto si sviluppano alcuni programmi a favore di istituzioni italiane che colla scusa di aiutare gli italiani all’ estero ricevono soldi dallo stato e se ne beneficiano. Senza ricadute concrete sugli italiani all’ estero.

I consolati sono tagliati selvaggiamente nei programmi ministeriali. I corsi di lingua diventano sempre meno. L’editoria italiana all’ estero ha tagli sempre piu’ grossolani ed è terra di conquista per alcuni gruppi editoriali che ricevono la maggior parte dei benefici.

Essere italiano all’ estero significa essere nelle mani di Dio, specie se si è detenuto all’ estero.

L’enorme potenziale economico-finanziario della comunità italaina oriunda nel mondo è dilapidato in maniera grossolana dai nostri politici che quando le visitano le trattano come fenomeni di barracone. Gli eletti all’ estero, con qualche eccezione, sono talmente censurabili che alcuni sono anche finiti in galera per collusione con mafia e ndrangheta.

E alla fine l’ironia della sorte: la comunità italo-brasiliana è addirittura accusata di non appoggiare la richiesta di estradizione di Battisti.

E’ proprio vera la famosa frase di Toto’ a riguardo. Guardando in faccia la nostra classe politica verrebbe da dire: ma fatemi il piacere.

sabato 11 dicembre 2010

La vergogna italiana sui bimbi innocenti di Bahia

“Max, tu hai scritto del bimbo italiano abbandonato nella scuola pubblica brasiliana. Hai visto le reazioni. I diplomatici e i politici se ne fregano. Ma c’è di peggio di molto peggio che accade qui in Brasile, a Salvador de Bahia”. Chi mi parla è un mio vecchio amico italiano di Salvador, di quelli che conosce tutto e tutti nel mondo italiano di questa città.

“Vai nella Suburbana, per esempio, li’ ci sono alcuni dei peggiori”. La Suburbana, per chi non lo sapesse, è la strada che va da Salvador a Paripe, nella periferia della città. Una strada famosa perchè terrificante, completamente abbandonata. Un vecchio titolo di Zagor, il famoso fumetto italiano, la definisce in pieno: Terra senza legge.

Li’ c’è un italiano che ha gusti abbietti. Ha visto un bimbo di 8 anni, povero. E’ andato dalla sua famiglia e gli ha “chiesto” di adottarlo. Famiglia poverissima che ha accettato, visto i quattro soldi offerti. Poi il mostro pedofilo ha preso con se’ il bimbo, senza alcun pezzo di carta, e lo tiene con sè a suo piacere, divertendosi come gli pare. Il bimbo è rassegnato e vive con lui da alcuni anni.
Come lo chiami tu questo nostro connazionale?”

Avevo già sentito parlare della Suburbana. Una volta alle 8 del mattino in una sala di attesa dell’ ospedale la tv mostro’ le immagini di due uomini sanguinanti che erano stati trovati nelle sterpaglie al margine della strada della Suburbana. Non so come non vomitei a vedere quelle immagini, tipiche nella tv sensazionalista brasiliana. La Suburbana è dove tutto accade ma nessuno lo sa nè lo vuole sapere.

Francamente questa è un’ altra storia disgustosa di italiani mostri che vengono qui in Brasile a fare cose che non potevano fare in Italia. C’è pero’ un ma.

Le nostre autorità diplomatiche (specie consolari onorarie a Salvador di Bahia) se non sanno possono sapere cio’ che accade. Ma non fanno niente. Il console onorario di Salvador pare inamovibile. Il ministero degli Esteri sembra avergli dato l’incarico a vita. Niente e nessuno le tira di là.

Il bimbo italiano nella scuola di Bahia, il bimbo brasiliano della Suburbana sono vittime di mostri italiani e di menefreghismo istituzionale grave.

Nessuno fa niente. E i mostri italiani e stranieri continuano a proliferare a Bahia.

giovedì 9 dicembre 2010

Salvador de Bahia, vergogna italiana

“Non mi battere por favor, non mi battere”.
Per tutta risposta un pugno duro cade sull’orecchio e si alza un grido di dolore. Scena triste, tristissima, che accade in una scuola brasiliana, a Salvador de Bahia.
Due particolari pero’ colpiscono: 1) la scuola è un asilo nido, dove ci sono bimbi di 4 e 5 anni. Il secondo è che il bambino, D., non è brasiliano. E’ italiano. Nato a Roma con passaporto italiano, figlio di un carabiniere in pensione (pensione baby) che vive a Salvador de Bahia.

Ma com’è possibile che un italiano lascia il proprio figlio in una scuola come questa? Dove i bambini sono pieni di malattie, dove sono brutalmente picchiati a sangue da altri bambini della loro età, che chissà quali altre violenze subiscono nelle loro case e che “sfogano” la loro rabbia nella scuola?

Non lo sa il carabiniere in pensione cosa succede nella scuola pubblica brasiliana? E qui la risposta è di quelle che mi fa vergognare: lo sa ma non se ne frega niente, nemmeno del proprio figlio.

Ha abbandonato la madre che ora vive in miseria in una squallida casa. Dopo essersi invaghito della donna, l’ha portata in Italia, dove è nato il bimbo. Per un po’ sono stati in Italia poi hanno deciso di tornare in Brasile. Hanno vissuto circa un anno insieme, con molti agi. La pensione di carabiniere non è male per chi vive in Brasile. Poi lui si è invaghito della cameriera ed è fuggito con lei. Poi con un altra ed un altra. E qui mi fermo perchè non so con chi è adesso.
Ma so con chi è suo figlio. In una scuola dove non è abbandonato, è brutalmente e quotidianamente picchiato. D. ha modi da bimbo italiano, non ha la malizia e la crudeltà dei colleghi di classe nati nelle favelas di Salvador e che hanno imparato prestissimo la vita. Dove sono alla mercè di tutto e tutti. Dove già in classe vogliono innamorarsi, minacciano di morte i professori a soli 4 e 5 anni.

D. non sa difendersi. Nessuno lo difende. Suo padre se ne frega. La sua famiglia italiana se ne frega. L’Italia ed il console onorario se ne frega. Tutti se ne fregano. E’ solo. E se sopravviverà alla tortura quotidiana e alle malattie che prende a scuola diventerà un marginale.

Lo so che la vita è dura e che le ingiustizie sono all’ordine del giorno. Ma che un bimbo di 4-5 anni “appanha” (è battuto) tutti i giorni anche per un colpa di un nostro connazionale francamente lo reputo una vergogna.

Italiano all’ estero non è questo. Ma bisogna anche parlare di questo. Per non dimenticare. Per fare qualcosa. Per D., che anche oggi avrà la sua razione quotidiana di pugni e calci in faccia. Senza alcuna colpa. Sua.

lunedì 9 agosto 2010

Vivere come un locale in Brasile?

“Voglio vivere come un locale, come un brasiliano” mi dice il mio amico che mi visita dall’ Italia. “Sei sicuro?” dico io, che vivo come un locale qui in Brasile. Eh si’ perchè vivere come un locale è dura, veramente dura, specialmente per un italiano. Perchè? Perchè hai tutti gli svantaggi di essere un brasiliano e quelli di essere un italiano. I primi si riassumono nelle qualifiche professionali, che in Italia dovrebbero essere un vantaggio e qui in Brasilesono un handicap.
Si’, perchè sei troppo qualificato tu italiano e quindi (specie nel Nord Est del Brasile) non ti offrono mai un lavoro dove il tuo capo non ha nemmeno un decimo delle tue qualifiche e guadagna un decimo di quanto guadagnavi tu in Italia.

Perchè allora non sei tornato in Italia? Facile a dire ma difficile a farsi, specie quando nel tuo cv ci sono anni in Brasile che interrompono una splendida carriera. Ma forse tornero’, perchè una cosa è stare all’ estero in vacanza un ‘altra è viverci ed il Brasile in questo è completamente diverso da quelle della cartolina quando ci vivi.

Ah, dimenticavo, gli svantaggi di essere italiano. Si riassumono in questi: tutti (o quasi) qui pensano che sei milionario e quindi un pollo da spennare, sempre. Di conseguenza i prezzi per te sono il doppio o il triplo di quelli per un brasiliano. Appena apri la bocca i venditori dei negozi ti sorridono e ti corteggiano. Poi quando sei alla cassa scopri il perchè: il conto.
Senza parlare dell’ “assedio” nelle strade, nelle spiaggie da parte di mendicanti e di persone interessate. Nella spiaggia del Porto da Barra a Salvador gli italiani di mezza età, con la pancetta e l’avanzata calvizie scoprono che poi in fondo non sono cosi’ sovrappeso ne’ poco attraenti come erano considerati quando vivevano in Italia. Li’ a stento raccattavano sguardi di occhialute bruttone. Qui splendide ragazze dalle curve vertiginose sono li’ a guardarli con occhiate ammalianti che fanno volare l’autostima. E poi, inutile dettaglio, il conto al ristorante o all’ albergo o al negozio quando le portano per qualche regalino.

Ma torniamo a “vivere come un locale”. Sono 20 minuti che aspetto in piedi l’autobus che non arriva, con un vento terribile che mi scompiglia i capelli. Non quella brezza del mare che ti fa sentire meglio ma un vento selvaggio che viene dal mare e che annuncia burrasca. Da tutte le parti locali camminano con cose pesanti in mano, che caricano personalmente perchè pochissimi hanno l’auto. Se stai male l’ospedale pubblico assomiglia ad un lager.

La scuola pubblica inutile parlarne perchè è come un punto di smercio di droga. Hai il coraggio di portare i tuoi figli li’? E allora giu’ a spendere 400 reais per la scuola privata, che diventano 800 ( quasi 350 euro) per due figli. E quando è economica, perchè quella cara costa il doppio.

E allora mi torna alla mente la domanda che ho fatto all’ inizio al mio amico: “Ma sei sicuro che vuoi vivere come un locale?”

sabato 9 gennaio 2010

L’ emigrazione dura degli italiani in Bahia

“Vai la’ in Brasile. Ti pagano il viaggio.Ti danno casa, 2 mucche, 40 ettari di terra, trattori, tutto.” Ed il contadino, reduce dalla durissima guerra mondiale, che era poverissimo ma con tanti figli, senza prospettive, senza futuro, abboccava.
La mamma Italia cacciava i suoi figli. Quando mai si e’ visto che una madre, in una situazione di grande difficolta’, incoraggia i suoi figli ad andare via, per sempre? Che mamma e’ questa? L’ Italia del dopoguerra, anni ‘50.
“E’ una storia vecchia Max, nessuno la vuole piu’ sentire, e’ noiosa, ma si deve raccontare perche’ e’ la storia della nostra vita. Si vive una volta sola e a me hanno tolto la vita, hanno tolto il diritto di vivere nella mia patria”. Cosi’ parla il mio amico Antonio, di Itirucu, citta’ dell’interno dello stato di Bahia.

Per arrivare li’ si passa per una strada pericolosissima. Su 5 viaggi su quella strada 3 incidenti, l’ultimo davanti ai miei occhi. L’autista dell’ autotreno ha perso il controllo del mezzo, un colpo di sonno e ha invaso l’altra carreggiata. Per miracolo l’autotreno che arrivava in direzione opposta ha evitato lo scontro frontale ed il conducente dell’ autobus dov’ ero ha rallentato improvvisamente evitando lo scontro.
E allora sono ancora qui a raccontare la storia di Antonio.

“Quando me ne sono andato dalla cittadina vicino Pescara dove vivevo nel ’50, si viveva con il bagno fuori di casa. Ma c’era la luce, la corrente elettrica, le strade, l’acqua potabile e trattori per arare la terra. Quando sono arrivato qui a Itirucu non c’era niente. Solo mata (foresta). Ne’ acqua ne’ casa, ne’ luce, niente.
Siamo tornati indietro 50 – 100 anni nel tempo. Abbiamo dovuto disboscare, lavorare la terra, a volte improduttiva, a volte a mani nude, con le unghie. Qui in Brasile non conoscevano l’ insalata, il pomodoro, tutti i prodotti tipici dell’agricoltura italiana. Abbiamo dovuto prendere l’acqua e le donne caricavano per kilometri i secchi d’ acqua sulla testa fino a quando abbiamo trovato l’ acqua vicino casa e fatto i pozzi.”

“E’ stato durissimo, disumano. Non abbiamo avuto opportunita’ di studiare, una cosa che mi e’ dispiaciuto molto. Il migliore qui ha la quinta elementare.

L’ Amerika, quella dei sogni, delle promesse a Pescara, si e’ rivelata per quello che era: ci hanno buttato via, espulsi dall’ Italia.” “Ma”, dico io, “in Italia dicono che e’ stata una vostra scelta, che nessuno vi ha caricato a forza sulla nave per emigrare”.

“Ma dimmi tu Max, che doveva fare mio padre: morto di fame, tanti figli e il sogno della terra gratis? Ha fatto bene, anch’io avrei fatto lo stesso. Ma poi qua a Itirucu abbiamo visto che la realta’ era molto differente”.

“Ora vieni tu e mi dici che l’Italia e’ interessata a noi, quei figli che 60 anni fa ha abbandonato. Ma tu, se fossi in me ci crederesti?”.

“Ma sai qual’e’ la vendetta del destino caro Max? E’ che ora l’ Italia ha lo stesso problema del passato al contrario, di flussi di immigrati dall’ Africa, dagli altri paesi. E lei, che ha espulso i suoi figli, deve accogliere i figli degli altri, e non puo’ non farlo, perche’ lei stessa e’ un paese di emigrati, non puo’ puo’ discriminare gli emigrati degli altri. Bella ironia no?”
E a te caro lettore giro la domanda di Antonio di Itirucu, italiano di Bahia, Brasile.