“Caro Max tu parli tanto dei sussidi alla stampa italiana all’estero ma di scandali simili in Italia non ne parli. E quelli sono peggiori” mi dice il mio amico giornalista col naso aquilino al bar dei cronisti italiani poveri di Sao Paolo. “E quello che e’ peggio e’ che gli sprechi in Italia sono colossali rispetto ai quattro centesimi che danno all’estero” continua naso aquilino.
Ed allora eccomi qua in questa calda notte brasiliana a raccontarvi uno dei piccoli grandi scandali dell’editoria nostrana, una corporazione dai tratti quasi feudali che rifiuta sistematicamente chi non gli appartiene. Figurarsi uno come il sottoscritto che lavora ll’estero.
Oggi vi parlero’ di un contributo che originariamente era stato stabilito anche a favore del cosiddetto terzo settore, il no-profit. La legge 7 agosto 1990 n. 250 art. 3 comma 3 aveva previsto contributi da erogarsi a favore di cooperative, fondazioni o enti morali o da societa’ la cui maggioranza sia posseduta dalle stesse entita’ (cooperative, etc.).
Si trattava chiaramente del buon cuore del legislatore nel facilitare un settore che e’ cronicamente in difficolta’ nel reperire fondi. Contributi diretti niente male perche’ costituiscono soldi pesanti in questi tempi di vacche magre del bilancio statale. Con la imminente crisi che sta arrivando poi si tratta di veri e propri soldi benedetti. Fin qui niente di male. Il problema e’ quando ne beneficia chi non dovrebbe o chi ne approfitta a suo vantaggio.
Secondo la relazione pubblicata nel sito del governo per l’anno 2006 una impresa chiamata Editing Italia cooperativa a responsabilita’ limitata ha ricevuto la bellezza di 312.000 euro, una somma niente male visto che l’anno precedente non aveva ricevuto niente e due anni prima 214.656 euro (con una crescita del 46%). La Editing Italia pubblica i Quaderni di Milano, che dovrebbero essere una pubblicazione periodica. Fin qui nulla di male.
Il problema e’ che QM - Quaderni di Milano e’ un settimanale di informazione con Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 704 del 20/12/1986. E allora direte voi miei cari lettori?
Mi sono cimentato nell’impresa cercando di trovare questa pubblicazione in internet, cosi’ cara al contribuente italiano e cosi’ economica al consumatore, visto che costa solo 1 euro. Alla fine ho trovato ho trovato una pubblicazione chiamata “On the road” edita dalla Editing Italia, rivista che si autodefinisce “Il giornale di chi viaggia o ci sta pensando”. On the road e’ una rivista di turismo di Milano che ha come direttore responsabile Carlo Vezzoni. Il luogo di pubblicazione potrebbe essere a Monza. Per la pubblicita’ si consiglia di chiamare il numero 02.6706650. Siccome sono curioso ho investigato un po’ e ho scoperto che questo numero nel passato corrispondeva al numero di fax di un bed e breakfast di Monza che si chiama Errigal. Guarda caso la pubblicita’ dello stesso bed e breakfast si trova dentro la rivista “On the road”.
Piuttosto che contributi dati ad una ong che opera no-profit o ad una cooperativa sembra che i contributi finiscono ad un piccolo gruppo editoriale di turismo con annessa relativa compagnia turistica. E non e’ finita qui.
Il signor Carlo Vezzoni aveva fatto parte della direzione provinciale della Margherita milanese, e in passato si era candidato per la lista DEMOCRAZIA E’ LIBERTA’ CON RUTELLI a Milano.
Ricordiamo che la Margherita milanese a fine 2006 cadde nella bufera per uno scandalo di tesseramenti falsi.
Vezzoni e’ stato anche assessore alla comunicazione per la Provincia di Milano e si presume conosca bene i meccanismi di finaziamento erogati dallo stato nel settore della comunicazione.
Dopodiche’ Vezzoni si e’ dato al giornalismo turistico e tutti lo sapevano. C’e’ una bella foto dello stesso in un viaggio della Giver Viaggi insieme con molti altri colleghi del settore che scrivono in giornali molto piu’ famosi. Questa e’ la lista dei partecipanti: Nicoletta Longhi (Repubblica), Daniela Campora (Repubblica), Susanna Tanzi (Capital), Beba Marsno (Bell'Europa), Maria Antonietta Zancan (Famiglia Cristiana), Luca Beretta (L'Orso), Stefano Brambilla (Qui Touring), Laura Forti (V&S), Antonella Mariotti (La Stampa) e Carlo Vezzoni (On the Road).
Ad onor del vero non e’ assolutamente detto che i suoi collghi sapessero delle molteplici attivita’ del Vezzoni. E si’ perche’ non sono finite qui. Infatti alla Errigan (l’agenzia di viaggio menzionata prima) lavora Imelda Behan Vezzoni. Questa e’ molto attiva nel terzo settore perche’ lavora anche nella Associazione Le vele Onlus.
Insomma in questo intricata rete di attivita’ del sign. Vezzoni e familiari solo una cosa sembra chiara: i contributi dello stato per l’editoria a favore del cosiddetto no-profit o cooperativo sembra invece beneficiare la produzione del profitto individuale. E come ha detto il dott. Bonaiuti, per i prossimi due anni non c’è tempo per correggere le distorsioni del sistema attuale e tutto rimane cosi’.
Non mi resta che rispondere cosi a naso aquilino: “Meglio berci sopra una birretta gelata, perche’ qui in Brasile la nostra professione non e’ considerata molto, forse sarebbe meglio metter su una cooperativa o una ong in Italia per avere soldi del governo italiano”.
mercoledì 26 novembre 2008
sabato 22 novembre 2008
Piero, il maestro toscano di Bahia
Questa Bahia e’ proprio sorprendente. Trovi italiani di tutti i tipi. Forse piu’ che in altri parti del Brasile e del Sudamerica, si trova davvero di tutto. Dal riccone all’indigente, dal simpatico all’antipatico, dalla persona distinta al criminale, da quello che aiuta i poveri a quello che li sfrutta.
Tutto l’universo mondo e’ qui.
Ma oggi vi voglio raccontare di un personaggio forse unico in questa ricca fauna baiana: il maestro toscano di Bahia, Piero Bastianelli. Un pisano di 73 anni radicato a Bahia da quasi 50 anni ma che ha mantenuto quella sapienza, ironia, allegria di vita tutta toscana. Una persona che anche nel visuale e’ simile a quei maestri toscani, artigiani nella fala e nell’acume.
E tra lui, toscano purosangue e me, cronista napoletano di Bahia, si intavola una conversazione tra il serio ed il faceto, con punte di arguzia e di ironia che mi ricordano le indimenticabili scenette di Troisi e Benigni del passato.
Piero ha una sapienza che viene da lontano, che si rivela nella conversazione di questa calda serata bahiana vicino al magico Farol da Barra.
Piero mi rivela che studio’ musica al Conservatorio Boccherini di Lucca, dove divenne violoncellista. All’inizio comincio’ freelance (si direbbe oggi) con “l’ orchestra del telefono” mi dice. In che consisteva? gli chiedo. E lui: “All’epoca (fine anni 50) il sindacato dei musicisti era una vera potenza. Loro chiamavano a casa e chiedevano: Vuoi suonare a San Gimignano, a Braga (provincia di Lucca)? Io rispondevo di si, prendevo il trenino dell’epoca e arrivavo al paesino di turno. Cosi’ (con il telefono) si contattavano gli altri musicisti, di qui l’orchesta del telefono” dice Piero. E aggiunge, con la classica risata sardonica toscana “Si chiamava spedizione punitiva: una prova e poi via per l’esecuzione, i soldi erano pochi, i concerti quasi improvvisati ma venivano bene”.
“E come mai sei venuto in Brasile?” gli chiedo. “Perche’ in una delle tante spedizioni punitive (a Zurigo) incontrei un tedesco che mi propose di venire a lavorare in Brasile. Io accettai ma poi non credetti veramente all’invito, che invece arrivo’ puntualmente a casa mia”. A quel punto Piero parti’. “Pensai, foreste, serpenti, coccodrilli, mi piace, questa era l’idea del Brasile all’epoca”.
Con il volo della Pan Air Piero sbarco’ a Bahia dove fu accolto molto bene. C’era molto bisogno di persone con esperienza allora come ora, e Piero con il suo bagaglio culturale invidiabile ricevette la proposta di insegnare all’universita’ di Bahia, oltre che lavorare all’orchestra. Accetto’ e rimase. Il gruppo dell’orchestra era molto internazionale: tedeschi, inglesi, etc.
Qui l’unica nota amara di Piero.
Il lavoro all’universita’ fu tutta la sua vita ma per la regola del ritiro in pensione a 70 anni questo tipo di vita fini’. “Quando si e’ nel pieno dell’esperienza e sei in grado di trasmettere esperienze concrete vai in pensione”. E io gli chiedo in tono provocatorio: “Questo e’ fatto per dare spazio ai giovani, in fondo e’ cio’ che e’ successo anche a te quando sei venuto in Brasile”. E Piero ribatte con il suo impagabile sorriso: “E’ vero ma quando sono venuto io il professore precedente non e’ stato mandato in pensione. I vecchi non sono da buttare”.
Gli chedo: “Come ti sei integrato nella realta’ di Bahia dell’epoca?”. “La cosa fondamentale” risponde “e’ il tuo atteggiamento rispetto alle altre persone: bisogna entrare nella societa’ e conoscerla, piuttosto che criticarla senza sapere cosa c’è intorno a te”. L’orchestra era stata il suo primo ambiente sociale, poi l’universita’.
Una mia provocazione “Cosa pensi di lasciare ai posteri in questo mondo?”. Piero risponde: “alunni che hanno appreso veramente qualcosa, che viaggiano il mondo intero, Stati Uniti, Europa, che non e’ facile per chi viene da Bahia. A me piace insegnare, trasmettere qualcosa, ma di vero non di formale”. A Piero non interessa che i suoi alunni hanno titoli di dottorato di master, ma che apprendano veramente qualcosa. “Il cambiamento del sistema universitario brasiliano dal modello francese a quello americano iniziato nel 1969 e’ la causa del suo declino” racconta Piero. Qui la realta’ e’ diversa dagli USA e la centralizzazione delle finanze a livello statale (federale) ha creato una riduzione di mezzi finanziari e confusione culturale che ha danneggiato l’ universita’ brasiliana. Oggigiorno si pensa solo ad avere diplomi per il mercato del lavoro non ad imparare. L’importanza dell’universita’ e’ insegnare, educare e questo e’ cio’ che mi interessa fare”.
La visione di Piero e’ quella del maestro di scuola di una volta, quello di vita piu’ che di cultura tecnicista. Il maestro deve avere carisma e deve insegnare ai suoi allievi a fare bene.
E la nostra conversazione si chiude in modo comico con un commento sulla politica italiana.
Piero mi dice: “Adoro assistere alla politica italiana. I nostri politici sono veri artisti. Si’ perche’ solo veri artisti sanno parlare con autentica convinzione di cose in cui non ci credono nemmeno un poco. Io non ci riesco ma loro si, e’ un vero teatrino”.
Un’ altra considerazione: “Dobbiamo promuovere la cultura contemporanea invece che giacere su quella nostra passata. Intendiamoci, la nostra cultura e’ tesoro dell’umanita’ ma bisogna promuovere il presente non il passato. In questo modo la musica, la cultura sono concepiti come una cosa vecchia”.
Hai ragione mio caro Piero. E’ arrivato il momento dei saluti. “E’ stato un piacere maestro”, dico io, e lui con quel sorriso ironico mi risponde: “Maestro si ma maestro toscano”.
Tutto l’universo mondo e’ qui.
Ma oggi vi voglio raccontare di un personaggio forse unico in questa ricca fauna baiana: il maestro toscano di Bahia, Piero Bastianelli. Un pisano di 73 anni radicato a Bahia da quasi 50 anni ma che ha mantenuto quella sapienza, ironia, allegria di vita tutta toscana. Una persona che anche nel visuale e’ simile a quei maestri toscani, artigiani nella fala e nell’acume.
E tra lui, toscano purosangue e me, cronista napoletano di Bahia, si intavola una conversazione tra il serio ed il faceto, con punte di arguzia e di ironia che mi ricordano le indimenticabili scenette di Troisi e Benigni del passato.
Piero ha una sapienza che viene da lontano, che si rivela nella conversazione di questa calda serata bahiana vicino al magico Farol da Barra.
Piero mi rivela che studio’ musica al Conservatorio Boccherini di Lucca, dove divenne violoncellista. All’inizio comincio’ freelance (si direbbe oggi) con “l’ orchestra del telefono” mi dice. In che consisteva? gli chiedo. E lui: “All’epoca (fine anni 50) il sindacato dei musicisti era una vera potenza. Loro chiamavano a casa e chiedevano: Vuoi suonare a San Gimignano, a Braga (provincia di Lucca)? Io rispondevo di si, prendevo il trenino dell’epoca e arrivavo al paesino di turno. Cosi’ (con il telefono) si contattavano gli altri musicisti, di qui l’orchesta del telefono” dice Piero. E aggiunge, con la classica risata sardonica toscana “Si chiamava spedizione punitiva: una prova e poi via per l’esecuzione, i soldi erano pochi, i concerti quasi improvvisati ma venivano bene”.
“E come mai sei venuto in Brasile?” gli chiedo. “Perche’ in una delle tante spedizioni punitive (a Zurigo) incontrei un tedesco che mi propose di venire a lavorare in Brasile. Io accettai ma poi non credetti veramente all’invito, che invece arrivo’ puntualmente a casa mia”. A quel punto Piero parti’. “Pensai, foreste, serpenti, coccodrilli, mi piace, questa era l’idea del Brasile all’epoca”.
Con il volo della Pan Air Piero sbarco’ a Bahia dove fu accolto molto bene. C’era molto bisogno di persone con esperienza allora come ora, e Piero con il suo bagaglio culturale invidiabile ricevette la proposta di insegnare all’universita’ di Bahia, oltre che lavorare all’orchestra. Accetto’ e rimase. Il gruppo dell’orchestra era molto internazionale: tedeschi, inglesi, etc.
Qui l’unica nota amara di Piero.
Il lavoro all’universita’ fu tutta la sua vita ma per la regola del ritiro in pensione a 70 anni questo tipo di vita fini’. “Quando si e’ nel pieno dell’esperienza e sei in grado di trasmettere esperienze concrete vai in pensione”. E io gli chiedo in tono provocatorio: “Questo e’ fatto per dare spazio ai giovani, in fondo e’ cio’ che e’ successo anche a te quando sei venuto in Brasile”. E Piero ribatte con il suo impagabile sorriso: “E’ vero ma quando sono venuto io il professore precedente non e’ stato mandato in pensione. I vecchi non sono da buttare”.
Gli chedo: “Come ti sei integrato nella realta’ di Bahia dell’epoca?”. “La cosa fondamentale” risponde “e’ il tuo atteggiamento rispetto alle altre persone: bisogna entrare nella societa’ e conoscerla, piuttosto che criticarla senza sapere cosa c’è intorno a te”. L’orchestra era stata il suo primo ambiente sociale, poi l’universita’.
Una mia provocazione “Cosa pensi di lasciare ai posteri in questo mondo?”. Piero risponde: “alunni che hanno appreso veramente qualcosa, che viaggiano il mondo intero, Stati Uniti, Europa, che non e’ facile per chi viene da Bahia. A me piace insegnare, trasmettere qualcosa, ma di vero non di formale”. A Piero non interessa che i suoi alunni hanno titoli di dottorato di master, ma che apprendano veramente qualcosa. “Il cambiamento del sistema universitario brasiliano dal modello francese a quello americano iniziato nel 1969 e’ la causa del suo declino” racconta Piero. Qui la realta’ e’ diversa dagli USA e la centralizzazione delle finanze a livello statale (federale) ha creato una riduzione di mezzi finanziari e confusione culturale che ha danneggiato l’ universita’ brasiliana. Oggigiorno si pensa solo ad avere diplomi per il mercato del lavoro non ad imparare. L’importanza dell’universita’ e’ insegnare, educare e questo e’ cio’ che mi interessa fare”.
La visione di Piero e’ quella del maestro di scuola di una volta, quello di vita piu’ che di cultura tecnicista. Il maestro deve avere carisma e deve insegnare ai suoi allievi a fare bene.
E la nostra conversazione si chiude in modo comico con un commento sulla politica italiana.
Piero mi dice: “Adoro assistere alla politica italiana. I nostri politici sono veri artisti. Si’ perche’ solo veri artisti sanno parlare con autentica convinzione di cose in cui non ci credono nemmeno un poco. Io non ci riesco ma loro si, e’ un vero teatrino”.
Un’ altra considerazione: “Dobbiamo promuovere la cultura contemporanea invece che giacere su quella nostra passata. Intendiamoci, la nostra cultura e’ tesoro dell’umanita’ ma bisogna promuovere il presente non il passato. In questo modo la musica, la cultura sono concepiti come una cosa vecchia”.
Hai ragione mio caro Piero. E’ arrivato il momento dei saluti. “E’ stato un piacere maestro”, dico io, e lui con quel sorriso ironico mi risponde: “Maestro si ma maestro toscano”.
venerdì 21 novembre 2008
Vecchi e giovani italiani all’estero: uguali a quelli in Italia?
“Vedi mio caro Max, la differenza tra i vecchi e i giovani italiani, in Patria come all’estero, e’ proprio questa. I vecchi hanno un attaccamento ad alcuni valori, che possono essere la Patria, la bandiera, i propri costumi, le proprie tradizioni, i propri dialetti, mentre i giovani no, non sono attaccati a niente”. Chi mi parla e’ un emigrato ultrasettantenne italiano in questa calda notte di Salvador de Bahia dove, seduto ad un bar della piazza del Porto da Barra, discutiamo di differenze generazionali e comportamentali degli italiani, in Italia come all’estero.
Devo dire che, da quando APK, la nota ong di assistenza degli emigrati italiani di Bahia (apk.salvador@yahoo.com.br), ha cominciato questa ricerca socio-economica sulla realta’ italiana di Bahia, non riesco piu’ a rispondere a tutte le emails che ricevo sull’argomento. L’interesse su chi sono, come vivono e dove vivono i nostri emigrati, vecchi e giovani, a Bahia, in Brasile ed in America Latina, e’ enorme. C’e’ una grande curiosita’ su questo popolo italico, da sempre dimenticato dalle autorita’ consolari locali, che oggi sembra essere uscito finalmente dal cono d’ombra che lo avvolgeva e sta rivelando personaggi tra i piu’ disparati e piu’ variegati. Sembra quasi che questo studio e’ una vera e propria cartina di tornasole per tutta la comunita’ italiana all’estero nel mondo.
Ma torniamo al mio amico ultrasettantenne e alle sue considerazioni generazionali. Alle sue scettiche affermazioni sui giovani italiani emigrati recentemente qui a Bahia replico io in tono provocatorio: “Va bene ma questa storia dell’attaccamento ai valori umani e solidari dei vecchi italiani e’ tutta da verificare. In altre parole molti vecchi e’ come se predicassero bene e razzolassero male, alla fine si comportano ne’ piu’ ne’ meno che come i giovani. E’ solo nei fatti, all’atto pratico che si puo’ verificare la veridicita’ o meno delle tue affermazioni”. Ed il mio compaesano mi risponde: “E’ vero. Tuttavia cio’ che si nota nei giovani e’ un comportamento opportunistico a volte esasperato. Una discussione come quella che stiamo facendo qui e ora un giovane non la farebbe, perche’ la considererebbe una perdita di tempo, non ne avrebbe interesse”.
E’ vero, penso io, un giovane si alzerebbe e se ne andrebbe. “I giovani di oggi pensano solo ai soldi, sono figli dalla cultura consumista” continua l’amico. E io replico: “Non qui a Bahia, dove l’attaccamento ai vestiti firmati o al Rolex di turno si perde nella semplicita’ del modo di vivere locale”. “E’ vero”, ribatte lui, “ma la mentalita’ rimane, l’atteggiamento mentale speculativo rimane, e se la cosa non interessa al giovane, questi se ne va, non perde tempo, se non si guadagna niente.”. Ed io: “Hai ragione, quello che pero’ mi colpisce dei giovani italiani e’ che pensano sempre che le domande che faccio hanno un secondo fine, per guadagnare qualcosa, quando scrivo sui problemi degli indigenti o degli italiani in genere. Nel mio caso non lo faccio per i soldi e i miei editori lo sanno. Non e’ detto che si fa tutto sempre per guadagnare qualcosa, si puo’ farlo anche perche’ ci si crede”. “I vecchi”, dice lui “hanno dei valori, anche nostalgici, di attaccamento alla patria, che fa si’ che aiuterebbero un conterraneo in difficolta’. I giovani che vengono qui a Bahia sono senz’arte ne’ parte, vogliono solo divertirsi e non pensano a niente, non sono attaccati a niente.”
Per la verita’ dubito che i vecchi emigrati aiutino come dice il mio amico, per lo meno nel quantum piuttosto che nel se. Tuttavia cio’ che distingue i giovani che vengono a vivere qui a Bahia e’ che, anche se non sono attaccati alla patria e alla bandiera, come dice l’ultrasettantenne che mi sta di fronte, sono anch’essi italiani. In altre parole l’atteggiamento di menefreghismo alla patria e alle tradizioni italiane e’ solo di facciata. Dentro di se’ i giovani italiani all’estero sono veramente italiani. Vanno al bar dello sport, vedono le partite di calcio italiano, discutono con calore su cio’ che accade in Italia, pensano alle donne alla stessa maniera che in Italia (tutte da conquistare ad eccezione della santa da sposare). Il menefreghismo di facciata maschera un’altra realta’: la mancata vera integrazione con la realta’ locale. I giovani italiani di Bahia conoscono (in generale) solo Barra, Ondina ed il Pelourinho, i quartieri turistici, non vanno nelle fine dell’INSS dove vanno i locali per andare all’ospedale pubblico. Vanno dal medico privato, vivono come eterni turisti, anche se si vendono come locali con gli italiani in Patria. E forse la differenza con i vecchi e’ che la nostalgia della patria di cui parla il mio amico, e’ piu’ mascherata mentre nei vecchi e’ piu’ esplicita.
Togli loro il caffe’, la partita di calcio al bar, l’andare dietro alle donne (tutte cose che i giovani italiani fanno in patria) e vedi che che loro, i giovani italiani all’estero, non sono piu’ gli stessi. In altre parole riproducono lo stesso atteggiamento culturale e mentale che hanno in patria, in maniera non differente da come fanno i vecchi italiani all’estero. E forse, quindi, sono tutti uguali, giovani e vecchi italiani, in patria e all’estero.
Forse tutti no. Devo correre alla fila dell’ INSS dell’ospedale pubblico per prendere il numero per fare la vaccinazione di mio figlio, non ho i capitali dei giovani italiani all’estero, vado al servizio pubblico io. Ma nella vita ci sono sempre delle eccezioni.
Devo dire che, da quando APK, la nota ong di assistenza degli emigrati italiani di Bahia (apk.salvador@yahoo.com.br), ha cominciato questa ricerca socio-economica sulla realta’ italiana di Bahia, non riesco piu’ a rispondere a tutte le emails che ricevo sull’argomento. L’interesse su chi sono, come vivono e dove vivono i nostri emigrati, vecchi e giovani, a Bahia, in Brasile ed in America Latina, e’ enorme. C’e’ una grande curiosita’ su questo popolo italico, da sempre dimenticato dalle autorita’ consolari locali, che oggi sembra essere uscito finalmente dal cono d’ombra che lo avvolgeva e sta rivelando personaggi tra i piu’ disparati e piu’ variegati. Sembra quasi che questo studio e’ una vera e propria cartina di tornasole per tutta la comunita’ italiana all’estero nel mondo.
Ma torniamo al mio amico ultrasettantenne e alle sue considerazioni generazionali. Alle sue scettiche affermazioni sui giovani italiani emigrati recentemente qui a Bahia replico io in tono provocatorio: “Va bene ma questa storia dell’attaccamento ai valori umani e solidari dei vecchi italiani e’ tutta da verificare. In altre parole molti vecchi e’ come se predicassero bene e razzolassero male, alla fine si comportano ne’ piu’ ne’ meno che come i giovani. E’ solo nei fatti, all’atto pratico che si puo’ verificare la veridicita’ o meno delle tue affermazioni”. Ed il mio compaesano mi risponde: “E’ vero. Tuttavia cio’ che si nota nei giovani e’ un comportamento opportunistico a volte esasperato. Una discussione come quella che stiamo facendo qui e ora un giovane non la farebbe, perche’ la considererebbe una perdita di tempo, non ne avrebbe interesse”.
E’ vero, penso io, un giovane si alzerebbe e se ne andrebbe. “I giovani di oggi pensano solo ai soldi, sono figli dalla cultura consumista” continua l’amico. E io replico: “Non qui a Bahia, dove l’attaccamento ai vestiti firmati o al Rolex di turno si perde nella semplicita’ del modo di vivere locale”. “E’ vero”, ribatte lui, “ma la mentalita’ rimane, l’atteggiamento mentale speculativo rimane, e se la cosa non interessa al giovane, questi se ne va, non perde tempo, se non si guadagna niente.”. Ed io: “Hai ragione, quello che pero’ mi colpisce dei giovani italiani e’ che pensano sempre che le domande che faccio hanno un secondo fine, per guadagnare qualcosa, quando scrivo sui problemi degli indigenti o degli italiani in genere. Nel mio caso non lo faccio per i soldi e i miei editori lo sanno. Non e’ detto che si fa tutto sempre per guadagnare qualcosa, si puo’ farlo anche perche’ ci si crede”. “I vecchi”, dice lui “hanno dei valori, anche nostalgici, di attaccamento alla patria, che fa si’ che aiuterebbero un conterraneo in difficolta’. I giovani che vengono qui a Bahia sono senz’arte ne’ parte, vogliono solo divertirsi e non pensano a niente, non sono attaccati a niente.”
Per la verita’ dubito che i vecchi emigrati aiutino come dice il mio amico, per lo meno nel quantum piuttosto che nel se. Tuttavia cio’ che distingue i giovani che vengono a vivere qui a Bahia e’ che, anche se non sono attaccati alla patria e alla bandiera, come dice l’ultrasettantenne che mi sta di fronte, sono anch’essi italiani. In altre parole l’atteggiamento di menefreghismo alla patria e alle tradizioni italiane e’ solo di facciata. Dentro di se’ i giovani italiani all’estero sono veramente italiani. Vanno al bar dello sport, vedono le partite di calcio italiano, discutono con calore su cio’ che accade in Italia, pensano alle donne alla stessa maniera che in Italia (tutte da conquistare ad eccezione della santa da sposare). Il menefreghismo di facciata maschera un’altra realta’: la mancata vera integrazione con la realta’ locale. I giovani italiani di Bahia conoscono (in generale) solo Barra, Ondina ed il Pelourinho, i quartieri turistici, non vanno nelle fine dell’INSS dove vanno i locali per andare all’ospedale pubblico. Vanno dal medico privato, vivono come eterni turisti, anche se si vendono come locali con gli italiani in Patria. E forse la differenza con i vecchi e’ che la nostalgia della patria di cui parla il mio amico, e’ piu’ mascherata mentre nei vecchi e’ piu’ esplicita.
Togli loro il caffe’, la partita di calcio al bar, l’andare dietro alle donne (tutte cose che i giovani italiani fanno in patria) e vedi che che loro, i giovani italiani all’estero, non sono piu’ gli stessi. In altre parole riproducono lo stesso atteggiamento culturale e mentale che hanno in patria, in maniera non differente da come fanno i vecchi italiani all’estero. E forse, quindi, sono tutti uguali, giovani e vecchi italiani, in patria e all’estero.
Forse tutti no. Devo correre alla fila dell’ INSS dell’ospedale pubblico per prendere il numero per fare la vaccinazione di mio figlio, non ho i capitali dei giovani italiani all’estero, vado al servizio pubblico io. Ma nella vita ci sono sempre delle eccezioni.
giovedì 20 novembre 2008
Editoria italiana all’estero: si cambia? Quando?
Finalmente.
Stavamo aspettando da tanto tempo. La parola del governo sul destino dell’editoria italiana all’estero e’ arrivata. O no? E si, perche’ forse non siamo molto bravi di comprendonio, ma non abbiamo capito che cosa accadra’ e soprattutto quando.
Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria, Paolo Bonaiuti, nella sua audizione presso la Commissione Cultura della Camera ha dichiarato: “Fino a questi ultimi giorni ho continuato a ricevere lettere riguardanti tale regolamento, ma, pur allungando i tempi, ho voluto ascoltare tutti, ma proprio tutti, per far sì che ci fosse una definizione del regolamento più condivisa possibile".
Ah dott. Bonaiuti, il suo naso assomiglia a quello di Pinocchio. Tutti ma proprio tutti no. Il sottoscritto, misero cronista italiano in Brasile che ha scritto una inchiesta sulla editoria italiana all’estero che (mi dicono) ha messo in luce tutti i trucchi ed inghippi usati in questo settore, non se lo e’ filato nemmeno di striscio. E dire che una piccola email gliel’ho mandata.
Ma non voglio fare polemica di basso profilo, dopotutto sono solo un giornalista italiano in Brasile.
Il fatto veramente grave e’ che, come dice Bonaiuti “L'operatività delle norme non partirà dal 1 gennaio 2009, ma a gennaio 2010. Per il contributo del 2008 rimarrà tutto vigente tranne alcune norme minori. Abbiamo dinanzi a noi un anno nel quale discutere per arrivare a una legge condivisa sull'editoria.”
“Mai dare giudizi affrettati. Analizza i fatti, solo i fatti mio caro Max” diceva il mio vecchio professore di liceo. E analizziamoli questi fatti. Secondo quanto detto dallo stesso Bonaiuti un regolamento governativo sul tema dell'editoria era gia’stato annunciato già ai primi di luglio. Tuttavia solo “il 17 settembre è stato messa al vaglio di una platea di rappresentanti dell'editoria venuti a Palazzo Chigi per eventuali modifiche” dice Bonaiuti. Poi in un gesto di grande democrazia, Bonaiuti ha voluto sentire tutti (ma non proprio tutti). Risultato: siamo arrivati al 19 novembre e buonanotte. I tempi sono troppo stretti e se ne riparla nel 2010.
Gli scrocconi del passato, La Repubblica-Assopigliatutto e tutti gli altri continueranno a beccare i contributi secondo le regole antiche e questo in un periodo in cui si taglia dappertutto per gli italiani all’estero.
Francamente per un governo che era stato salutato come portatore di una ventata di efficienza e rapidita’ nell’affrontare i problemi e’ proprio una bella delusione per noi italiani all’estero, ultima ruota del carro della locomotiva Italia.
Attenzione pero’ perche’ le buone notizie arrivano ora: “ci sarà, seguendo delle direttive del Governo, una semplificazione fortissima delle procedure e degli atti di accesso ai contributi sia diretti sia a credito agevolato. Inoltre - continua Bonaiuti - verrà introdotto un criterio di parametrazione dei contributi rispetto alle vendite effettive e non alla distribuzione.”
Bello, bellissimo che peccato che accadra’ (se accadra’) cosi’ lontano nel tempo.
C’e’ pero’ una ventata di serieta’: “ho chiesto che sia avviata da parte del Ministero degli Affari Esteri un'indagine conoscitiva riguardo i giornali italiani all'estero" dice Bonaiuti. Beh, non e’ che non ci vogliamo credere ma delegare la ripulita del buco nero dell’ editoria italiana all’estero a quello stesso organo che lo ha mantenuto in queste condizioni finora non e’ proprio il massimo della vita. Infatti, se non erro, era proprio il MAE il responsabile dei controlli nel passato. Svolta colossale o piccolo topolino uscito dal cilindro di Bonaiuti?
Ed ecco, udite, udite, la grande svolta: “Si cercherà di indirizzare i contributi per favorire nuovi posti di lavoro nel giornalismo. Tutta l'editoria sta attraversando un momento particolare. C'è molta preoccupazione riguardo la situazione lavorativa nel mondo del giornalismo".
Attenzione attenzione fatemi passare cari colleghi, mi candido in prima persona subito, sin da ora.
Ma chissa perche’ qualcosa mi dice che il mio posto gia’ e’ stato occupato, forse da qualcuno della cricca dell’editoria del passato.
Stavamo aspettando da tanto tempo. La parola del governo sul destino dell’editoria italiana all’estero e’ arrivata. O no? E si, perche’ forse non siamo molto bravi di comprendonio, ma non abbiamo capito che cosa accadra’ e soprattutto quando.
Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria, Paolo Bonaiuti, nella sua audizione presso la Commissione Cultura della Camera ha dichiarato: “Fino a questi ultimi giorni ho continuato a ricevere lettere riguardanti tale regolamento, ma, pur allungando i tempi, ho voluto ascoltare tutti, ma proprio tutti, per far sì che ci fosse una definizione del regolamento più condivisa possibile".
Ah dott. Bonaiuti, il suo naso assomiglia a quello di Pinocchio. Tutti ma proprio tutti no. Il sottoscritto, misero cronista italiano in Brasile che ha scritto una inchiesta sulla editoria italiana all’estero che (mi dicono) ha messo in luce tutti i trucchi ed inghippi usati in questo settore, non se lo e’ filato nemmeno di striscio. E dire che una piccola email gliel’ho mandata.
Ma non voglio fare polemica di basso profilo, dopotutto sono solo un giornalista italiano in Brasile.
Il fatto veramente grave e’ che, come dice Bonaiuti “L'operatività delle norme non partirà dal 1 gennaio 2009, ma a gennaio 2010. Per il contributo del 2008 rimarrà tutto vigente tranne alcune norme minori. Abbiamo dinanzi a noi un anno nel quale discutere per arrivare a una legge condivisa sull'editoria.”
“Mai dare giudizi affrettati. Analizza i fatti, solo i fatti mio caro Max” diceva il mio vecchio professore di liceo. E analizziamoli questi fatti. Secondo quanto detto dallo stesso Bonaiuti un regolamento governativo sul tema dell'editoria era gia’stato annunciato già ai primi di luglio. Tuttavia solo “il 17 settembre è stato messa al vaglio di una platea di rappresentanti dell'editoria venuti a Palazzo Chigi per eventuali modifiche” dice Bonaiuti. Poi in un gesto di grande democrazia, Bonaiuti ha voluto sentire tutti (ma non proprio tutti). Risultato: siamo arrivati al 19 novembre e buonanotte. I tempi sono troppo stretti e se ne riparla nel 2010.
Gli scrocconi del passato, La Repubblica-Assopigliatutto e tutti gli altri continueranno a beccare i contributi secondo le regole antiche e questo in un periodo in cui si taglia dappertutto per gli italiani all’estero.
Francamente per un governo che era stato salutato come portatore di una ventata di efficienza e rapidita’ nell’affrontare i problemi e’ proprio una bella delusione per noi italiani all’estero, ultima ruota del carro della locomotiva Italia.
Attenzione pero’ perche’ le buone notizie arrivano ora: “ci sarà, seguendo delle direttive del Governo, una semplificazione fortissima delle procedure e degli atti di accesso ai contributi sia diretti sia a credito agevolato. Inoltre - continua Bonaiuti - verrà introdotto un criterio di parametrazione dei contributi rispetto alle vendite effettive e non alla distribuzione.”
Bello, bellissimo che peccato che accadra’ (se accadra’) cosi’ lontano nel tempo.
C’e’ pero’ una ventata di serieta’: “ho chiesto che sia avviata da parte del Ministero degli Affari Esteri un'indagine conoscitiva riguardo i giornali italiani all'estero" dice Bonaiuti. Beh, non e’ che non ci vogliamo credere ma delegare la ripulita del buco nero dell’ editoria italiana all’estero a quello stesso organo che lo ha mantenuto in queste condizioni finora non e’ proprio il massimo della vita. Infatti, se non erro, era proprio il MAE il responsabile dei controlli nel passato. Svolta colossale o piccolo topolino uscito dal cilindro di Bonaiuti?
Ed ecco, udite, udite, la grande svolta: “Si cercherà di indirizzare i contributi per favorire nuovi posti di lavoro nel giornalismo. Tutta l'editoria sta attraversando un momento particolare. C'è molta preoccupazione riguardo la situazione lavorativa nel mondo del giornalismo".
Attenzione attenzione fatemi passare cari colleghi, mi candido in prima persona subito, sin da ora.
Ma chissa perche’ qualcosa mi dice che il mio posto gia’ e’ stato occupato, forse da qualcuno della cricca dell’editoria del passato.
martedì 18 novembre 2008
Vita in Brasile? Costa quanto in Italia
Hai letto bene il titolo mio caro lettore. Non ti illudere. E’ finalmente arrivata l’ora di sfatare un mito, molto radicato in Italia, che si riassume in due parole: “Prendo i soldi e scappo in Brasile”.
Si perche’ su questo mito generazioni di italiani hanno passato i migliori anni della propria vita a sospirare nella penombra dei loro uffici a sognare una vita su una spiaggia brasiliana da sogno, circondati da caipirinhas, splendide mulatte e l’immancabile ombra di una palma di cocco.
Per realizzare questo sogno era facile. Bastava mettere da parte un gruzzolo, rispettabile ma non enorme, e poi via verso il sole brasiliano dimenticando la vita magra con il capoufficio di turno.
Mi dispiace disilluderti mio caro lettore ma i tempi sono cambiati. Il tuo gruzzoletto non durera’ molto, specialmente se la tua idea e’ quella di mettere su famiglia e ricominciare una nuova vita all’ombra della palma di cocco.
Il livello di vita della classe media brasiliana, equiparabile a quello di quella medio-bassa italiana, ha un costo drammaticamente simile a quello italiano. Inutile illudersi che il gruzzolo duri in eterno come altrettanto illusoria e’ l’idea di mettere su un ristorante o un alberghetto e cosi’ integrare i soldi del “tesoretto” messo da parte con ricavi in loco.
Ma perche’ dici questo? mi chiederai mio caro lettore, frustrato per aver il proprio sogno di vita infranto. Beh, gli argomenti sono i seguenti. Uno puramente numerico ma con una premessa.
Il sogno continua se, dopo aver mollato tutto si sbarca in Brasile per vivere una vita basica senza conforts da classe media, un appartamento molto piccolo e soprattutto niente famiglia. In questo caso i costi sono ancora abbastanza bassi, anche se i costi della propria alimentazione sono aumentati notevolmente rispetto a 5 – 10 anni fa. Ma se si arriva in Brasile a mezz’eta’ con volonta’ di ricominciare una vita con una famiglia nuova, inutile illudersi, la sentenza e’ terribile: i costi sono gli stessi del paese che si e’ lasciato, l’Italia.
Perche’? Facile a spiegare. Tutto e’ basato sulla privatizzazione di fatto dei servizi pubblici in Brasile. Che significa? Istruzione e sanita’ qui si paga mio caro lettore e anche molto salata. E' bene specificare che stiamo parlando in particolare del Nord Est del Brasile.
Puoi sempre andare all’ospedale pubblico, a volte anche efficiente. Ma il piu’ delle volte non troppo differente da qualcosa di simile a una macelleria a cielo aperto, dove uomini, donne e bambini sono curati in maniera cosi’atroce che non permetteresti lo stesso trattamento nemmeno al tuo peggior nemico.
E la scuola? Quando ci sono, banchi, sedie e aule, la violenza che le attinge ha raggiunto livelli cosi’ impressionanti che la polizia e’ chiamata per sedare le numerose risse che succedono.
Infine i conti. Secondo uno studio di APK, una ong di assistenza degli italiani dello stato di Bahia, una famiglia di 4 persone (con casa di proprieta’ e due figli) paga, in media 1000 reais per una scuola di livello medio-buono. La necessaria assicurazione sulla salute aggiunge altre 1500 reais al bilancio familiare (stima per difetto). Se poi a cio’ aggiungiamo spese per alimentazione, vestiario e divertimento si arriva ad altri 2000 reais in media. Totale 4500- 5000 reais, equivalente a circa 2000 euro. In altre parole il costo della vita di una famiglia di classe medio-bassa in Italia. E l’integrazione del proprio bilancio con un attivita’ in loco (ristorante, albergo)?
A questo riguardo bisogna sfatare un’ altro mito: l’ 80% delle nuove iniziative imprenditoriali in Brasile muore prima di completare un anno di vita. In altre parole l’improvvisazione (che colpisce tanto i brasiliani quanto gli stranieri nelle loro attivita’ imprenditoriali) e’ mortale per l’iniziativa privata. Non e’ piu’ sufficiente essere italiano, saper fare una buona pasta al sugo e dare un buon look al proprio ristorante per sbarcare il lunario.
La concorrenza e’ spietata, il brasiliano (ed il turista) ruota moltissimo il posto dove mangiare la sera e “farsi una clientela” non e’ facile. In piu’ c’e’ in Brasile un’ attenzione esagerata ai costi: quanto piu’ economico, meglio, anche a scapito della qualita’. In pratica e’ durissima. E mentre i ricavi languono i costi crescono in maniera esponenziale proprio quando l’attivita’ non riesce a decollare come all’inizio.
Risultato: alta percentuale di fallimento del settore della ristorazione. Esempio: a Salvador il ristorante alla Casa d’Italia, centro storico della comunita’ italiana di Salvador, non e’ durato piu’ di un anno, e in questo caso la locazione nella Casa d’Italia doveva essere un punto di forza, oltre alla cucina tipicamente mediterranea del ristorante. Discorso simile per gli alberghetti e pensioni aperti da italiani che pensano di saperla lunga a riguardo e poi falliscono miseramente.
Conclusione: mio caro lettore, se decidi, nella penombra del tuo ufficio nel centro di Milano, Roma o anche nella periferia italiana, di venire in Brasile, pensa a che vieni a fare e come, e organizza il tutto molto bene con analisi preventiva di costi e ricavi. Il tempo dell’improvvisazione e’ finito e se non farai cosi’ potresti anche finire male ed essere costretto al rimpatrio in Italia per mancanza di fondi.
Si perche’ su questo mito generazioni di italiani hanno passato i migliori anni della propria vita a sospirare nella penombra dei loro uffici a sognare una vita su una spiaggia brasiliana da sogno, circondati da caipirinhas, splendide mulatte e l’immancabile ombra di una palma di cocco.
Per realizzare questo sogno era facile. Bastava mettere da parte un gruzzolo, rispettabile ma non enorme, e poi via verso il sole brasiliano dimenticando la vita magra con il capoufficio di turno.
Mi dispiace disilluderti mio caro lettore ma i tempi sono cambiati. Il tuo gruzzoletto non durera’ molto, specialmente se la tua idea e’ quella di mettere su famiglia e ricominciare una nuova vita all’ombra della palma di cocco.
Il livello di vita della classe media brasiliana, equiparabile a quello di quella medio-bassa italiana, ha un costo drammaticamente simile a quello italiano. Inutile illudersi che il gruzzolo duri in eterno come altrettanto illusoria e’ l’idea di mettere su un ristorante o un alberghetto e cosi’ integrare i soldi del “tesoretto” messo da parte con ricavi in loco.
Ma perche’ dici questo? mi chiederai mio caro lettore, frustrato per aver il proprio sogno di vita infranto. Beh, gli argomenti sono i seguenti. Uno puramente numerico ma con una premessa.
Il sogno continua se, dopo aver mollato tutto si sbarca in Brasile per vivere una vita basica senza conforts da classe media, un appartamento molto piccolo e soprattutto niente famiglia. In questo caso i costi sono ancora abbastanza bassi, anche se i costi della propria alimentazione sono aumentati notevolmente rispetto a 5 – 10 anni fa. Ma se si arriva in Brasile a mezz’eta’ con volonta’ di ricominciare una vita con una famiglia nuova, inutile illudersi, la sentenza e’ terribile: i costi sono gli stessi del paese che si e’ lasciato, l’Italia.
Perche’? Facile a spiegare. Tutto e’ basato sulla privatizzazione di fatto dei servizi pubblici in Brasile. Che significa? Istruzione e sanita’ qui si paga mio caro lettore e anche molto salata. E' bene specificare che stiamo parlando in particolare del Nord Est del Brasile.
Puoi sempre andare all’ospedale pubblico, a volte anche efficiente. Ma il piu’ delle volte non troppo differente da qualcosa di simile a una macelleria a cielo aperto, dove uomini, donne e bambini sono curati in maniera cosi’atroce che non permetteresti lo stesso trattamento nemmeno al tuo peggior nemico.
E la scuola? Quando ci sono, banchi, sedie e aule, la violenza che le attinge ha raggiunto livelli cosi’ impressionanti che la polizia e’ chiamata per sedare le numerose risse che succedono.
Infine i conti. Secondo uno studio di APK, una ong di assistenza degli italiani dello stato di Bahia, una famiglia di 4 persone (con casa di proprieta’ e due figli) paga, in media 1000 reais per una scuola di livello medio-buono. La necessaria assicurazione sulla salute aggiunge altre 1500 reais al bilancio familiare (stima per difetto). Se poi a cio’ aggiungiamo spese per alimentazione, vestiario e divertimento si arriva ad altri 2000 reais in media. Totale 4500- 5000 reais, equivalente a circa 2000 euro. In altre parole il costo della vita di una famiglia di classe medio-bassa in Italia. E l’integrazione del proprio bilancio con un attivita’ in loco (ristorante, albergo)?
A questo riguardo bisogna sfatare un’ altro mito: l’ 80% delle nuove iniziative imprenditoriali in Brasile muore prima di completare un anno di vita. In altre parole l’improvvisazione (che colpisce tanto i brasiliani quanto gli stranieri nelle loro attivita’ imprenditoriali) e’ mortale per l’iniziativa privata. Non e’ piu’ sufficiente essere italiano, saper fare una buona pasta al sugo e dare un buon look al proprio ristorante per sbarcare il lunario.
La concorrenza e’ spietata, il brasiliano (ed il turista) ruota moltissimo il posto dove mangiare la sera e “farsi una clientela” non e’ facile. In piu’ c’e’ in Brasile un’ attenzione esagerata ai costi: quanto piu’ economico, meglio, anche a scapito della qualita’. In pratica e’ durissima. E mentre i ricavi languono i costi crescono in maniera esponenziale proprio quando l’attivita’ non riesce a decollare come all’inizio.
Risultato: alta percentuale di fallimento del settore della ristorazione. Esempio: a Salvador il ristorante alla Casa d’Italia, centro storico della comunita’ italiana di Salvador, non e’ durato piu’ di un anno, e in questo caso la locazione nella Casa d’Italia doveva essere un punto di forza, oltre alla cucina tipicamente mediterranea del ristorante. Discorso simile per gli alberghetti e pensioni aperti da italiani che pensano di saperla lunga a riguardo e poi falliscono miseramente.
Conclusione: mio caro lettore, se decidi, nella penombra del tuo ufficio nel centro di Milano, Roma o anche nella periferia italiana, di venire in Brasile, pensa a che vieni a fare e come, e organizza il tutto molto bene con analisi preventiva di costi e ricavi. Il tempo dell’improvvisazione e’ finito e se non farai cosi’ potresti anche finire male ed essere costretto al rimpatrio in Italia per mancanza di fondi.
lunedì 17 novembre 2008
Pelourinho, dove gli italiani non si fidano di nessuno
Lo confesso. Mi sono sbagliato. Pensavo che incontrare gli italiani di Salvador e fare loro due domande su come se la passano fosse semplice. Specialmente per quelli che vivono e lavorano nelle zone turistiche.E tra queste a Salvador di Bahia sicuramente il Pelourinho e’ l’area principe.
Niente di piu’ sbagliato mio caro lettore. Gli italiani del Pelourinho, con qualche notevole eccezione, si adattano perfettamente all’atmosfera del Pelo’. Sono malfidati, ambigui, diffidenti, ti guardano con sospetto, con circospezione, manco fossi una spia o (peggio ancora un agente delle tasse). In fondo sono un giornalista, le dichiarazioni fatte al sottoscritto sono pubblicita’ per loro e per i loro ristoranti.
L’analisi socio-economica che faccio degli italiani di Bahia puo’ portare loro benefici e visibilita’ di fronte alle autorita’ italiane, che da sempre fanno come se non esistessero. In altre parole questi italiani hanno tutto da guadagnare a parlare con il sottoscritto. Ed invece no, mio caro lettore.
Mi chiedono chi sono, che faccio, perche’ devono rispondere alle domande. E poi giu’ con la tipica lamentela italiana. Le cose non cambieranno mai per loro, non hanno fiducia nel governo italiano, peggio ancora nel consolato onorario di Salvador.
Massimo dell’internet cafe del Pelourinho, all’angolo del Terreiro di Jesus, e’ il piu’ rude: “Non credo per niente nell’utilita’ di queste domande e questionari, noi per il governo italiano non esistiamo”. “Ma se rispondi alle domande puo’ darsi che qualcuno in Italia si accorgera’ dei vostri problemi” ribatto io. E lui replica prontamente: “Ma in Italia li sanno benissimo i nostri problemi e non fanno ne’ faranno mai niente”. Bisogna capirlo a Massimo. L’astio delle sue parole e’ giustificato da decenni di abbandono totale del governo e del consolato alle problematiche degli italiani di Bahia. La sfiducia e’ totale. Sembra che io che faccio le domande rappresenti il governo italiano. E lui che non puo’ sfogarsi con il governo lo fa con me in maniera anche pesante.
Sono le 9 di sera di una lunga giornata in cui ho lavorato duramente intervistando italiani di diverse parti di Salvador ed in particolare del Pelourinho. Sono stanco (e’ comprensibile) e sto facendo il mio lavoro (non molto pagato). La giornata era cominciata nel Largo 2 di luglio, in una vecchia casa di questo quartiere di classe bassa. Qui vive Antonio Pelosi, un emigrato italiano di lunga data. Lo chiamo alla reception del vecchio palazzo ma lui si rifiuta di parlare. Gli dico che parlando con me avrebbe l’opportunita’ di denunciare i suoi problemi, primo fra tutti quello dell’assistenza sanitaria dall Italia. Ma lui grida dal telefono della reception del suo palazzo: “L’assistenza sanitaria dall’Italia non l’ho mai avuta e non voglio parlare con nessuno, basta” e riaggancia. L’ira di questo anziano italiano traspare dall’amarezza delle sue parole che manifestano una condizione di completo abbandono.
Vado a piedi al Pelourinho ed incontro una persona squisita, una vera eccezione in questo panorama di italiani malfidati. Salvatore Distefano, 39 anni di Padova, proprietario del ristorante La figa. Simpatico, dinamico, gioviale, mi spiega che sta aprendo un ristorante nella citta’ di Morro di Sao Paolo. Salvatore ha un ristorante avviatissimo dove si mangia bene. E alla fine della nostra conversazione mi parla di cosa pensa sia il maggior problema per gli italiani del Pelourinho. “Siamo visti dai locali come sfruttatori non come investitori. Non e’ colpa mia se il salario minimo e’ di 400 reais e se qualche ladruncolo cerca di derubare i clienti io intervengo. Ma parlando con la polizia o con i locali la risposta molto spesso e’: qui le cose sono cosi’ se non ti piace tornatene in Italia.” Non e’ giusto ribatto’ e lui aggiunge: “E’ vero, ma non tutti la pensano cosi’”.
Vado in un ristorante lussuoso italiano dove il proprietario mi accoglie con un caloroso sorriso. Ma questo scompare subito quando gli spiego che vorrei fargli due domande invece che mangiare. Mi spiega che deve verificare, di lasciargli le domande e mi fara’ sapere. Quanta burocrazia per alcune innocenti domande, penso. Ma poi percepisco che la diffidenza serpeggiante salta fuori con il dinego a rispondere.
Incontro Giovanni di un internet cafe’, simpatico 42enne di Roma che mi spiega la difficolta’ di integrarsi nella societa’ brasiliana, specie al Pelo’. “Qui recentemente arrivano due categorie di italiani, quelli che vogliono solo divertirsi e quelli che vogliono mettere radici. I primi dopo un po’ se ne vanno ma anche tra i secondi alcuni se ne vanno”. “Ogni uomo ha in media tre donne e 15 figli, non ci si puo’ veramente integrare in una societa’ cosi’”.
Ed infine l’incontro con Massimo dell’internet cafe’.
Che dire degli italiani del Pelo’?
Con le eccezioni di Salvatore e Giovanni, hanno mostrato che non si fidano per niente di un loro connazionale. Triste cosa: e’ vero che il governo li ignora ma e’ altrettanto vero che, con questo comportamento, rimarranno sempre in questa situazione.
Niente di piu’ sbagliato mio caro lettore. Gli italiani del Pelourinho, con qualche notevole eccezione, si adattano perfettamente all’atmosfera del Pelo’. Sono malfidati, ambigui, diffidenti, ti guardano con sospetto, con circospezione, manco fossi una spia o (peggio ancora un agente delle tasse). In fondo sono un giornalista, le dichiarazioni fatte al sottoscritto sono pubblicita’ per loro e per i loro ristoranti.
L’analisi socio-economica che faccio degli italiani di Bahia puo’ portare loro benefici e visibilita’ di fronte alle autorita’ italiane, che da sempre fanno come se non esistessero. In altre parole questi italiani hanno tutto da guadagnare a parlare con il sottoscritto. Ed invece no, mio caro lettore.
Mi chiedono chi sono, che faccio, perche’ devono rispondere alle domande. E poi giu’ con la tipica lamentela italiana. Le cose non cambieranno mai per loro, non hanno fiducia nel governo italiano, peggio ancora nel consolato onorario di Salvador.
Massimo dell’internet cafe del Pelourinho, all’angolo del Terreiro di Jesus, e’ il piu’ rude: “Non credo per niente nell’utilita’ di queste domande e questionari, noi per il governo italiano non esistiamo”. “Ma se rispondi alle domande puo’ darsi che qualcuno in Italia si accorgera’ dei vostri problemi” ribatto io. E lui replica prontamente: “Ma in Italia li sanno benissimo i nostri problemi e non fanno ne’ faranno mai niente”. Bisogna capirlo a Massimo. L’astio delle sue parole e’ giustificato da decenni di abbandono totale del governo e del consolato alle problematiche degli italiani di Bahia. La sfiducia e’ totale. Sembra che io che faccio le domande rappresenti il governo italiano. E lui che non puo’ sfogarsi con il governo lo fa con me in maniera anche pesante.
Sono le 9 di sera di una lunga giornata in cui ho lavorato duramente intervistando italiani di diverse parti di Salvador ed in particolare del Pelourinho. Sono stanco (e’ comprensibile) e sto facendo il mio lavoro (non molto pagato). La giornata era cominciata nel Largo 2 di luglio, in una vecchia casa di questo quartiere di classe bassa. Qui vive Antonio Pelosi, un emigrato italiano di lunga data. Lo chiamo alla reception del vecchio palazzo ma lui si rifiuta di parlare. Gli dico che parlando con me avrebbe l’opportunita’ di denunciare i suoi problemi, primo fra tutti quello dell’assistenza sanitaria dall Italia. Ma lui grida dal telefono della reception del suo palazzo: “L’assistenza sanitaria dall’Italia non l’ho mai avuta e non voglio parlare con nessuno, basta” e riaggancia. L’ira di questo anziano italiano traspare dall’amarezza delle sue parole che manifestano una condizione di completo abbandono.
Vado a piedi al Pelourinho ed incontro una persona squisita, una vera eccezione in questo panorama di italiani malfidati. Salvatore Distefano, 39 anni di Padova, proprietario del ristorante La figa. Simpatico, dinamico, gioviale, mi spiega che sta aprendo un ristorante nella citta’ di Morro di Sao Paolo. Salvatore ha un ristorante avviatissimo dove si mangia bene. E alla fine della nostra conversazione mi parla di cosa pensa sia il maggior problema per gli italiani del Pelourinho. “Siamo visti dai locali come sfruttatori non come investitori. Non e’ colpa mia se il salario minimo e’ di 400 reais e se qualche ladruncolo cerca di derubare i clienti io intervengo. Ma parlando con la polizia o con i locali la risposta molto spesso e’: qui le cose sono cosi’ se non ti piace tornatene in Italia.” Non e’ giusto ribatto’ e lui aggiunge: “E’ vero, ma non tutti la pensano cosi’”.
Vado in un ristorante lussuoso italiano dove il proprietario mi accoglie con un caloroso sorriso. Ma questo scompare subito quando gli spiego che vorrei fargli due domande invece che mangiare. Mi spiega che deve verificare, di lasciargli le domande e mi fara’ sapere. Quanta burocrazia per alcune innocenti domande, penso. Ma poi percepisco che la diffidenza serpeggiante salta fuori con il dinego a rispondere.
Incontro Giovanni di un internet cafe’, simpatico 42enne di Roma che mi spiega la difficolta’ di integrarsi nella societa’ brasiliana, specie al Pelo’. “Qui recentemente arrivano due categorie di italiani, quelli che vogliono solo divertirsi e quelli che vogliono mettere radici. I primi dopo un po’ se ne vanno ma anche tra i secondi alcuni se ne vanno”. “Ogni uomo ha in media tre donne e 15 figli, non ci si puo’ veramente integrare in una societa’ cosi’”.
Ed infine l’incontro con Massimo dell’internet cafe’.
Che dire degli italiani del Pelo’?
Con le eccezioni di Salvatore e Giovanni, hanno mostrato che non si fidano per niente di un loro connazionale. Triste cosa: e’ vero che il governo li ignora ma e’ altrettanto vero che, con questo comportamento, rimarranno sempre in questa situazione.
domenica 9 novembre 2008
Il grido di dolore degli italiani indigenti di Bahia
Il mio lavoro a volte e’ ingrato. Mi porta a raccontare storie, come quella di oggi, che non possono non lasciare indifferente anche un cronista navigato come il sottoscritto. Un misto di rabbia, rassegnazione ed indignazione si mescolano in un turbinio di emozioni che colpiscono chi legge e chi scrive. Ma andiamo con ordine.
Largo 2 di luglio, centro storico di Salvador di Bahia, Brasile. Quartiere decaduto del centro storico di Salvador alle spalle della Rua Chile, un tempo una via chic della citta’. In questa piazza il rumore assordante di uno spettacolo di quarta categoria di questo venerdi’ sera domina la scena nelle lunghe penombre della sera. In un palazzaccio di classe medio-bassa chiedo alla reception di incontrare Annina de Gregorio, una emigrata italiana di lungo corso. Sembra di stare a Napoli. Il portiere chiama la signora che accosente all’intervista. Salgo le scale al primo piano di questo palazzo antico ed una anziana signora mi attende alla porta dell’appartamento del secondo piano. Comincio a parlare con la signora di come e’ venuta in Brasile. Mi colpiscono le sue gambe. Il diabete le ha rese di un rosso violaceo. Ha alcune fasce attorno ad una gamba. Forse per fermare il dolore. Il dito del piede e’ completamente fasciato ed e’ stato operato.
Nel mezzo della conversazione si sente una voce flebile che viene dall’altra stanza. “Chi e’?” chiede. “E’ un ricercatore italiano, Maria non ti preoccupare.”, risponde Annina. “Vieni qui parlami di lui”, dice la voce, ed Annina sparisce nella penombra della stanza. Poi torna e mi chiede di accompagnarla. Nell’altra stanza una signora molto anziana mi attende.
Sdraiata completamente nel letto, molto debole, malata, con due cuscini sotto il capo fa fatica a parlare. Mi chiede cosa sto facendo. Le spiego che sto investigando gli emigrati italiani di Bahia, in particolare gli indigenti. Lei mi sorride e mi chiede di ascoltarla. E cosi, su una poltrona a fianco al suo capezzale, con l’aiuto della sorella mi racconta una storia di dolore e di sofferenza, che dovrebbe essere letta da tutti gli italiani, specialmente da quelli che pensano che gli emigrati italiani che chiedono soldi al governo italiano sono approfittatori che vogliono solo denaro.
Nel 1957 l’Italia del dopoguerra aveva lasciato una situazione durissima che costrinse all’emigrazione intere famiglie, specie del Centro- Sud.
Annina e Maria de Gregorio lasciarono Bolognano, in provincia di Pescara, per arrivare a Salvador de Bahia, per raggiungere i propri familiari. Inutile dire che l’adattamento delle due donne all’inizio non fu facile. Mentre Annetta comicio’ a lavorare come sarta, Maria ebbe una formazione di insegnante e comincio’ a lavorare nella Dante Alighieri, la rinomata scuola di italiano di Salvador. Tuttavia le cose peggiorarono perche’ il fratello mori’ e Maria fu costratta a lasciare la scuola per assistere i genitori nel lavoro dei campi all’interno dello stato di Bahia. Lavoro durissimo nelle piantagioni di famiglia, che rendeva poco ma era estremamente pesante. Questo lavoro comincio’ a minare la salute di Maria. E nei decenni la salute peggioro’ sempre di piu’. I genitori morirono e della grande famiglia rimasero solo alcuni nipoti. Dopo tanto tempo le due donne decisero di vivere insieme a Salvador, nella capitale. Il povero appartamento di una stanza da pranzo, bagno e stanza da letto accolse le due donne che furono costrette a sacrifici notevoli.
Ma il finale di questa storia e’ certamente impressionante.
Maria si e’ gravemente ammalata ed e’ stata ricoverata per quasi un mese ad un ospedale di Salvador. Dopo essere stata dimessa giace nel suo letto e non si puo’ muovere. A 82 anni cio’ e’ pienamente possibile mi dirai mio caro lettore, anche in Italia. Ed invece no. Perche’?
Perche’ Maria riceve la pensione minima di 420 reais (153 euro) al mese. “Con questi soldi se mangio non bevo, se bevo non mangio. Inutile poi parlare delle medicine”. Il problema maggiore e’ la visita del medico a domicilio. Nelle condizioni in cui Maria si trova, chiaramente non puo’ muoversi. Tuttavia il costo di una visita a domicilio e’ assolutamente proibitiva: 300 reais. In altre parole se Maria sta male chiama il medico e finiscono i soldi del mese. Se non lo chiama puo’ morire.
“Ma e l’Italia non ti aiuta?” chiedo io. E lei con voce flebile mi risponde: “Non c’e’ interesse e questo non e’ giusto per un governo che dimentica i suoi figli”. Maria si mantiene perche’ la sorella riceve una pensione maggiore che le permette di pagare le spese mediche di Maria. Ma perche’ non ti sei naturalizzata brasiliana per godere dei benefici sociali legati a cio’?” le chiedo. “Il Brasile e’ un paese molto accogliente ma la terra mia (l’Italia) e’ la terra mia.” mi risponde. “L’Italia non si puo’ dimenticare anche se lei si dimentica di te” continua Maria.
E la conversazione scivola via in questa calda notte di novembre a Salvador di Bahia nello sfondo della musica assordante del concerto di quart’ordine.
E’ giunto il tempo dei saluti. Annina mi chiede se puo’ avere benefici dall’Italia legati al diabete ed al diritto ad un accompagnante. Non so rispondo, bisogna verificare.
Mi avvicino al capezzale di Maria. E lei con una voce fioca e soave al tempo stesso mi dice: “Ti ringrazio tantissimo per avermi ascoltato e sei puo’ fare qualcosa per me, per l’amor di Dio, fallo”. Ed io, con difficolta’ per trattenere le lacrime davanti a questa donna in fil di vita, rispondo: “Se posso, lo faccio”. E spero davvero che questo articolo lo faccia.
Largo 2 di luglio, centro storico di Salvador di Bahia, Brasile. Quartiere decaduto del centro storico di Salvador alle spalle della Rua Chile, un tempo una via chic della citta’. In questa piazza il rumore assordante di uno spettacolo di quarta categoria di questo venerdi’ sera domina la scena nelle lunghe penombre della sera. In un palazzaccio di classe medio-bassa chiedo alla reception di incontrare Annina de Gregorio, una emigrata italiana di lungo corso. Sembra di stare a Napoli. Il portiere chiama la signora che accosente all’intervista. Salgo le scale al primo piano di questo palazzo antico ed una anziana signora mi attende alla porta dell’appartamento del secondo piano. Comincio a parlare con la signora di come e’ venuta in Brasile. Mi colpiscono le sue gambe. Il diabete le ha rese di un rosso violaceo. Ha alcune fasce attorno ad una gamba. Forse per fermare il dolore. Il dito del piede e’ completamente fasciato ed e’ stato operato.
Nel mezzo della conversazione si sente una voce flebile che viene dall’altra stanza. “Chi e’?” chiede. “E’ un ricercatore italiano, Maria non ti preoccupare.”, risponde Annina. “Vieni qui parlami di lui”, dice la voce, ed Annina sparisce nella penombra della stanza. Poi torna e mi chiede di accompagnarla. Nell’altra stanza una signora molto anziana mi attende.
Sdraiata completamente nel letto, molto debole, malata, con due cuscini sotto il capo fa fatica a parlare. Mi chiede cosa sto facendo. Le spiego che sto investigando gli emigrati italiani di Bahia, in particolare gli indigenti. Lei mi sorride e mi chiede di ascoltarla. E cosi, su una poltrona a fianco al suo capezzale, con l’aiuto della sorella mi racconta una storia di dolore e di sofferenza, che dovrebbe essere letta da tutti gli italiani, specialmente da quelli che pensano che gli emigrati italiani che chiedono soldi al governo italiano sono approfittatori che vogliono solo denaro.
Nel 1957 l’Italia del dopoguerra aveva lasciato una situazione durissima che costrinse all’emigrazione intere famiglie, specie del Centro- Sud.
Annina e Maria de Gregorio lasciarono Bolognano, in provincia di Pescara, per arrivare a Salvador de Bahia, per raggiungere i propri familiari. Inutile dire che l’adattamento delle due donne all’inizio non fu facile. Mentre Annetta comicio’ a lavorare come sarta, Maria ebbe una formazione di insegnante e comincio’ a lavorare nella Dante Alighieri, la rinomata scuola di italiano di Salvador. Tuttavia le cose peggiorarono perche’ il fratello mori’ e Maria fu costratta a lasciare la scuola per assistere i genitori nel lavoro dei campi all’interno dello stato di Bahia. Lavoro durissimo nelle piantagioni di famiglia, che rendeva poco ma era estremamente pesante. Questo lavoro comincio’ a minare la salute di Maria. E nei decenni la salute peggioro’ sempre di piu’. I genitori morirono e della grande famiglia rimasero solo alcuni nipoti. Dopo tanto tempo le due donne decisero di vivere insieme a Salvador, nella capitale. Il povero appartamento di una stanza da pranzo, bagno e stanza da letto accolse le due donne che furono costrette a sacrifici notevoli.
Ma il finale di questa storia e’ certamente impressionante.
Maria si e’ gravemente ammalata ed e’ stata ricoverata per quasi un mese ad un ospedale di Salvador. Dopo essere stata dimessa giace nel suo letto e non si puo’ muovere. A 82 anni cio’ e’ pienamente possibile mi dirai mio caro lettore, anche in Italia. Ed invece no. Perche’?
Perche’ Maria riceve la pensione minima di 420 reais (153 euro) al mese. “Con questi soldi se mangio non bevo, se bevo non mangio. Inutile poi parlare delle medicine”. Il problema maggiore e’ la visita del medico a domicilio. Nelle condizioni in cui Maria si trova, chiaramente non puo’ muoversi. Tuttavia il costo di una visita a domicilio e’ assolutamente proibitiva: 300 reais. In altre parole se Maria sta male chiama il medico e finiscono i soldi del mese. Se non lo chiama puo’ morire.
“Ma e l’Italia non ti aiuta?” chiedo io. E lei con voce flebile mi risponde: “Non c’e’ interesse e questo non e’ giusto per un governo che dimentica i suoi figli”. Maria si mantiene perche’ la sorella riceve una pensione maggiore che le permette di pagare le spese mediche di Maria. Ma perche’ non ti sei naturalizzata brasiliana per godere dei benefici sociali legati a cio’?” le chiedo. “Il Brasile e’ un paese molto accogliente ma la terra mia (l’Italia) e’ la terra mia.” mi risponde. “L’Italia non si puo’ dimenticare anche se lei si dimentica di te” continua Maria.
E la conversazione scivola via in questa calda notte di novembre a Salvador di Bahia nello sfondo della musica assordante del concerto di quart’ordine.
E’ giunto il tempo dei saluti. Annina mi chiede se puo’ avere benefici dall’Italia legati al diabete ed al diritto ad un accompagnante. Non so rispondo, bisogna verificare.
Mi avvicino al capezzale di Maria. E lei con una voce fioca e soave al tempo stesso mi dice: “Ti ringrazio tantissimo per avermi ascoltato e sei puo’ fare qualcosa per me, per l’amor di Dio, fallo”. Ed io, con difficolta’ per trattenere le lacrime davanti a questa donna in fil di vita, rispondo: “Se posso, lo faccio”. E spero davvero che questo articolo lo faccia.
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