domenica 9 novembre 2008

Il grido di dolore degli italiani indigenti di Bahia

Il mio lavoro a volte e’ ingrato. Mi porta a raccontare storie, come quella di oggi, che non possono non lasciare indifferente anche un cronista navigato come il sottoscritto. Un misto di rabbia, rassegnazione ed indignazione si mescolano in un turbinio di emozioni che colpiscono chi legge e chi scrive. Ma andiamo con ordine.

Largo 2 di luglio, centro storico di Salvador di Bahia, Brasile. Quartiere decaduto del centro storico di Salvador alle spalle della Rua Chile, un tempo una via chic della citta’. In questa piazza il rumore assordante di uno spettacolo di quarta categoria di questo venerdi’ sera domina la scena nelle lunghe penombre della sera. In un palazzaccio di classe medio-bassa chiedo alla reception di incontrare Annina de Gregorio, una emigrata italiana di lungo corso. Sembra di stare a Napoli. Il portiere chiama la signora che accosente all’intervista. Salgo le scale al primo piano di questo palazzo antico ed una anziana signora mi attende alla porta dell’appartamento del secondo piano. Comincio a parlare con la signora di come e’ venuta in Brasile. Mi colpiscono le sue gambe. Il diabete le ha rese di un rosso violaceo. Ha alcune fasce attorno ad una gamba. Forse per fermare il dolore. Il dito del piede e’ completamente fasciato ed e’ stato operato.
Nel mezzo della conversazione si sente una voce flebile che viene dall’altra stanza. “Chi e’?” chiede. “E’ un ricercatore italiano, Maria non ti preoccupare.”, risponde Annina. “Vieni qui parlami di lui”, dice la voce, ed Annina sparisce nella penombra della stanza. Poi torna e mi chiede di accompagnarla. Nell’altra stanza una signora molto anziana mi attende.
Sdraiata completamente nel letto, molto debole, malata, con due cuscini sotto il capo fa fatica a parlare. Mi chiede cosa sto facendo. Le spiego che sto investigando gli emigrati italiani di Bahia, in particolare gli indigenti. Lei mi sorride e mi chiede di ascoltarla. E cosi, su una poltrona a fianco al suo capezzale, con l’aiuto della sorella mi racconta una storia di dolore e di sofferenza, che dovrebbe essere letta da tutti gli italiani, specialmente da quelli che pensano che gli emigrati italiani che chiedono soldi al governo italiano sono approfittatori che vogliono solo denaro.

Nel 1957 l’Italia del dopoguerra aveva lasciato una situazione durissima che costrinse all’emigrazione intere famiglie, specie del Centro- Sud.
Annina e Maria de Gregorio lasciarono Bolognano, in provincia di Pescara, per arrivare a Salvador de Bahia, per raggiungere i propri familiari. Inutile dire che l’adattamento delle due donne all’inizio non fu facile. Mentre Annetta comicio’ a lavorare come sarta, Maria ebbe una formazione di insegnante e comincio’ a lavorare nella Dante Alighieri, la rinomata scuola di italiano di Salvador. Tuttavia le cose peggiorarono perche’ il fratello mori’ e Maria fu costratta a lasciare la scuola per assistere i genitori nel lavoro dei campi all’interno dello stato di Bahia. Lavoro durissimo nelle piantagioni di famiglia, che rendeva poco ma era estremamente pesante. Questo lavoro comincio’ a minare la salute di Maria. E nei decenni la salute peggioro’ sempre di piu’. I genitori morirono e della grande famiglia rimasero solo alcuni nipoti. Dopo tanto tempo le due donne decisero di vivere insieme a Salvador, nella capitale. Il povero appartamento di una stanza da pranzo, bagno e stanza da letto accolse le due donne che furono costrette a sacrifici notevoli.
Ma il finale di questa storia e’ certamente impressionante.

Maria si e’ gravemente ammalata ed e’ stata ricoverata per quasi un mese ad un ospedale di Salvador. Dopo essere stata dimessa giace nel suo letto e non si puo’ muovere. A 82 anni cio’ e’ pienamente possibile mi dirai mio caro lettore, anche in Italia. Ed invece no. Perche’?
Perche’ Maria riceve la pensione minima di 420 reais (153 euro) al mese. “Con questi soldi se mangio non bevo, se bevo non mangio. Inutile poi parlare delle medicine”. Il problema maggiore e’ la visita del medico a domicilio. Nelle condizioni in cui Maria si trova, chiaramente non puo’ muoversi. Tuttavia il costo di una visita a domicilio e’ assolutamente proibitiva: 300 reais. In altre parole se Maria sta male chiama il medico e finiscono i soldi del mese. Se non lo chiama puo’ morire.
“Ma e l’Italia non ti aiuta?” chiedo io. E lei con voce flebile mi risponde: “Non c’e’ interesse e questo non e’ giusto per un governo che dimentica i suoi figli”. Maria si mantiene perche’ la sorella riceve una pensione maggiore che le permette di pagare le spese mediche di Maria. Ma perche’ non ti sei naturalizzata brasiliana per godere dei benefici sociali legati a cio’?” le chiedo. “Il Brasile e’ un paese molto accogliente ma la terra mia (l’Italia) e’ la terra mia.” mi risponde. “L’Italia non si puo’ dimenticare anche se lei si dimentica di te” continua Maria.
E la conversazione scivola via in questa calda notte di novembre a Salvador di Bahia nello sfondo della musica assordante del concerto di quart’ordine.

E’ giunto il tempo dei saluti. Annina mi chiede se puo’ avere benefici dall’Italia legati al diabete ed al diritto ad un accompagnante. Non so rispondo, bisogna verificare.
Mi avvicino al capezzale di Maria. E lei con una voce fioca e soave al tempo stesso mi dice: “Ti ringrazio tantissimo per avermi ascoltato e sei puo’ fare qualcosa per me, per l’amor di Dio, fallo”. Ed io, con difficolta’ per trattenere le lacrime davanti a questa donna in fil di vita, rispondo: “Se posso, lo faccio”. E spero davvero che questo articolo lo faccia.

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