Lo confesso. Mi sono sbagliato. Pensavo che incontrare gli italiani di Salvador e fare loro due domande su come se la passano fosse semplice. Specialmente per quelli che vivono e lavorano nelle zone turistiche.E tra queste a Salvador di Bahia sicuramente il Pelourinho e’ l’area principe.
Niente di piu’ sbagliato mio caro lettore. Gli italiani del Pelourinho, con qualche notevole eccezione, si adattano perfettamente all’atmosfera del Pelo’. Sono malfidati, ambigui, diffidenti, ti guardano con sospetto, con circospezione, manco fossi una spia o (peggio ancora un agente delle tasse). In fondo sono un giornalista, le dichiarazioni fatte al sottoscritto sono pubblicita’ per loro e per i loro ristoranti.
L’analisi socio-economica che faccio degli italiani di Bahia puo’ portare loro benefici e visibilita’ di fronte alle autorita’ italiane, che da sempre fanno come se non esistessero. In altre parole questi italiani hanno tutto da guadagnare a parlare con il sottoscritto. Ed invece no, mio caro lettore.
Mi chiedono chi sono, che faccio, perche’ devono rispondere alle domande. E poi giu’ con la tipica lamentela italiana. Le cose non cambieranno mai per loro, non hanno fiducia nel governo italiano, peggio ancora nel consolato onorario di Salvador.
Massimo dell’internet cafe del Pelourinho, all’angolo del Terreiro di Jesus, e’ il piu’ rude: “Non credo per niente nell’utilita’ di queste domande e questionari, noi per il governo italiano non esistiamo”. “Ma se rispondi alle domande puo’ darsi che qualcuno in Italia si accorgera’ dei vostri problemi” ribatto io. E lui replica prontamente: “Ma in Italia li sanno benissimo i nostri problemi e non fanno ne’ faranno mai niente”. Bisogna capirlo a Massimo. L’astio delle sue parole e’ giustificato da decenni di abbandono totale del governo e del consolato alle problematiche degli italiani di Bahia. La sfiducia e’ totale. Sembra che io che faccio le domande rappresenti il governo italiano. E lui che non puo’ sfogarsi con il governo lo fa con me in maniera anche pesante.
Sono le 9 di sera di una lunga giornata in cui ho lavorato duramente intervistando italiani di diverse parti di Salvador ed in particolare del Pelourinho. Sono stanco (e’ comprensibile) e sto facendo il mio lavoro (non molto pagato). La giornata era cominciata nel Largo 2 di luglio, in una vecchia casa di questo quartiere di classe bassa. Qui vive Antonio Pelosi, un emigrato italiano di lunga data. Lo chiamo alla reception del vecchio palazzo ma lui si rifiuta di parlare. Gli dico che parlando con me avrebbe l’opportunita’ di denunciare i suoi problemi, primo fra tutti quello dell’assistenza sanitaria dall Italia. Ma lui grida dal telefono della reception del suo palazzo: “L’assistenza sanitaria dall’Italia non l’ho mai avuta e non voglio parlare con nessuno, basta” e riaggancia. L’ira di questo anziano italiano traspare dall’amarezza delle sue parole che manifestano una condizione di completo abbandono.
Vado a piedi al Pelourinho ed incontro una persona squisita, una vera eccezione in questo panorama di italiani malfidati. Salvatore Distefano, 39 anni di Padova, proprietario del ristorante La figa. Simpatico, dinamico, gioviale, mi spiega che sta aprendo un ristorante nella citta’ di Morro di Sao Paolo. Salvatore ha un ristorante avviatissimo dove si mangia bene. E alla fine della nostra conversazione mi parla di cosa pensa sia il maggior problema per gli italiani del Pelourinho. “Siamo visti dai locali come sfruttatori non come investitori. Non e’ colpa mia se il salario minimo e’ di 400 reais e se qualche ladruncolo cerca di derubare i clienti io intervengo. Ma parlando con la polizia o con i locali la risposta molto spesso e’: qui le cose sono cosi’ se non ti piace tornatene in Italia.” Non e’ giusto ribatto’ e lui aggiunge: “E’ vero, ma non tutti la pensano cosi’”.
Vado in un ristorante lussuoso italiano dove il proprietario mi accoglie con un caloroso sorriso. Ma questo scompare subito quando gli spiego che vorrei fargli due domande invece che mangiare. Mi spiega che deve verificare, di lasciargli le domande e mi fara’ sapere. Quanta burocrazia per alcune innocenti domande, penso. Ma poi percepisco che la diffidenza serpeggiante salta fuori con il dinego a rispondere.
Incontro Giovanni di un internet cafe’, simpatico 42enne di Roma che mi spiega la difficolta’ di integrarsi nella societa’ brasiliana, specie al Pelo’. “Qui recentemente arrivano due categorie di italiani, quelli che vogliono solo divertirsi e quelli che vogliono mettere radici. I primi dopo un po’ se ne vanno ma anche tra i secondi alcuni se ne vanno”. “Ogni uomo ha in media tre donne e 15 figli, non ci si puo’ veramente integrare in una societa’ cosi’”.
Ed infine l’incontro con Massimo dell’internet cafe’.
Che dire degli italiani del Pelo’?
Con le eccezioni di Salvatore e Giovanni, hanno mostrato che non si fidano per niente di un loro connazionale. Triste cosa: e’ vero che il governo li ignora ma e’ altrettanto vero che, con questo comportamento, rimarranno sempre in questa situazione.
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