Chi e' l'italiano più' famoso del Brasile? Paolo Rossi? Roberto Baggio? Giuseppe Garibaldi? Domenico Modugno di Volare?
Nessuno di tutti questi. Si tratta di Frei Damiao, ,al secolo Pio Giannotti, il piccolo frate cappuccino di Bozzano, frazione di Massarosa, provincia di Lucca.
Un prete che ha saputo entrare nel vero cuore del Brasile come pochi.
Per darvi un idea della sua popolarità' quando frei Damiao decedette all' eta' di 99 anni, in Brasile furono proclamati 3 giorni di lutto.
Moltissime autorità' brasiliane parteciparono alle esequie. Ma nello stadio arruda di Recife soprattutto circa 50 mila persone, brasiliani del Nord Est del Brasile, parteciparono. E con il tempo il mito di Frei Damiao, il padre buono, cresce sempre di più'. E se il processo di beatificazione si tira per le lunghe, per il popolo nordestino del Brasile non c'e' alcun dubbio. Frei Damiao e' già' un santo e le persone che lo hanno conosciute guardano dentro di se' quella esperienza come se fosse la più' bella della loro vita.
Ma chi era Frei Damiao? Da dove veniva? E soprattutto come e' riuscito a divenire così' popolare in un popolo così' distante da quello d' origine, l' Italia?
E' per scoprire questa storia che il vostro cronista si e' recato personalmente a Bozzano, il paese d'origine di Frei Damiao. Ho incontrato e intervistato parenti, concittadini membri dell'associazione costituita in suo onore. Ho visitato i luoghi di origine in cui e' nato e vissuto Frei Damiao. I luoghi di culto, ho visto le sue vesti nella chiesa di Bozzano, ho visitato il convento dei Cappuccini di Lucca. Ho parlato con molte persone che l'hanno conosciuto in Italia e hanno visto emergere questa figura.
Che dire? Si tratta di un fenomeno eccezionale di quelli che si verificano raramente in un secolo, un misto di bontà' e di amore di altri tempi, di una vita dedicata all' aiuto dei poveri, di una condivisione vera e totale delle difficoltà' dei poveri e dei dimenticati.
Ma facciamo un passo indietro.
Nato il 5 novembre 1989 a Bozzano, frei Damiao era il secondo di cinque figli di una famiglia di contadini estremamente religiosa. Altri due membri della famiglia appartenevano al mondo della chiesa: il fratello maggiore divenne sacerdote e la sorella entro' a far parte delle suore lucchesi di santa Zita.
E gli aneddoti su frei Damiao si accumulano. Come quello in cui Frei damiao era atteso a Bozzano da Massa dove operava. Alcuni parenti gli avevano dato i soldi dell'autobus per arrivare a Bozzano. Tuttavia passava il giorno e lui non arrivava. Infine a tarda sera arrivo'. I parenti gli chiesero: come mai hai ritardato? Non c'era l'autobus? E lui rispose: "Ho incontrato un povero, che aveva bisogno e gli ho dato i soldi dell'autobus, così' sono venuto a piedi".
Così' era frei Damiao da Bozzano, un grande cuore, una grandissima dedizione ad aiutare i bisognosi. Ma al tempo stesso umilissimo. Frei Damiao quasi non si vedeva quando tornava a Bozzano dal Brasile. O andava al convento a Massa o rimaneva con i familiari.
Nel 1923 divenne sacerdote dell'ordine dei cappuccini e negli anni 30 fu mandato dalla Diocesi di Lucca in Brasile, direzione Pernambuco, Nord Est del Brasile. Da li' in poi 66 anni di vita missionaria in Brasile in terre poverissime minacciate da secche periodiche.
La storia di questo piccolo padre, dall'aspetto fragile ma da un forza morale che pochi hanno mai raggiunto in vita, e' veramente toccante. Percio' questo mio articolo lo voglio dedicare a lui, così' famoso e venerato in Brasile e così' poco conosciuto in Italia purtroppo. Nessuno e' profeta in patria diceva Gesu' ed aveva ragione.
Frei Damiao cominciava la sua giornata alle 4.30 del Mattina quando andava in strada a cominciare la sua opera di evangelizzazione che terminava a mezzanotte. Per tanto abbassare la testa per ascoltare le confessioni il suo collo era rimasto un po' deformato.
Ma la vera forza di Frei Damiao era di parlare il linguaggio do povo (del popolo). Andava personalmente e da solo nei villaggi più' poveri e più' sperduti del Nord Est del Brasile. A quell'epoca anni 30 il Nord Est era poverissimo e le popolazioni erano completamente abbandonate a se' stesse. Ma il popolo aveva una religiosità', una devozione, un amore per Gesu' che era e tuttora e' molto grande.
La figura fragile e gentile di Frei Damiao che errava in queste regioni sperdute e desolate del Nord Est del Brasile era amatissima. Frei Damiao prendeva l'autobus come qualsiasi altro, viveva con il popolo, mangiava e viveva come loro. Ascoltava le confessioni dei poveri, dei dimenticati, per tutti aveva una parola di conforto. Se qualcuno era malato andava personalmente al suo capezzale. O anche in prigione.
Parallelamente alla sua umiltà' la sua fama si diffondeva nel povero Nord Est del Brasile a macchia d'olio. Pernambuco, Paraiba, Alagoas erano solo alcuni degli stati in cui era popolarissimo.
Devo dire che leggere alcune delle lettere che Frei Damiao scrisse a suo fratello e che sono mostrate nel luogo dell'associazione di Bozzano sono veramente toccanti.
Come quella in cui parla di una donna di 80 anni che aveva camminato per 60 chilometri a piedi per venire nella città' in cui lui andava a predicare.
In tempi di plastica in cui tutto e' commercio signali di fede vera, autentica di quelli di cui parala Frei damiao nelle sue lettere fanno venire le lacrime agli occhi. Come quando parla degli autobus di nordestini brasiliani poveri che facevano centinaia di chilometri per ascoltare i suoi sermoni.
Povera gente con un grande cuore che aveva toccato nel profondo il piccolo padre toscano. Frei Damiao decise di essere seppellito a recife in Brasile e non in Italia. Ormai il suo popolo era quello brasiliano. Ma Frei Damiao amava sempre la sua Bozzano ed i suoi familiari.
Frei Damiao ha saputo integrarsi perfettamente con la povera gente del Brasile. Non prometteva niente. Ma la sua semplicità' conquistava tutti. Forse il legame tra l'uomo di Bozzano e il popolo nordestino del Brasile era la profonda spiritualità' e semplicità' dell' Italia di iniziio secolo nelle terre toscane con quella del popolo brasiliano. Spiritualita' che attraversa il tempo e lo spazio ed arriva nel profondo del cuore della gente.
E speriamo che in questi tempi moderni, in cui la cruudelta' sta divenendo abituale per tutti noi, il messaggio del piccolo frate cappuccino di Bozzano ci renda tutti un poco più' umani e commiserevoli con noi e con gli altri.
sabato 24 gennaio 2015
lunedì 5 gennaio 2015
Pino la musica che va lontano
Anni 80 Liceo classico Garibaldi. Ai piedi del vecchio palazzo vicino Piazza Carlo III Max e gli altri si incontrano per parlare di scuola. I professori, gli alunni, il latino, il greco, tante cose.,
Ma si parla anche di musica. L'argomento e' lui, Pino Daniele, il cantautore che diveniva sempre più' popolare a Napoli.
Una specie di fratello maggiore per noi tutti. Che vedevamo la smorfia di Massimo Troiai in tv. Che ci sentivamo impegnati contro la camorra, contro le ingiustizie, contro il mondo che non andava per il verso giusto.
Poi tutti a prendere l'autobus a Capodichino per tornare alle nostre case nella zona Nord di Napoli. Rough areas si direbbe in inglese. Zone dure. L'autobus a volte passava uno all'ora.
Noi che lo prendevamo eravamo molto rapidi. Ma Max lo era di più' di tutti.
Max era specialista della corsa all'autobus. Quando sono andato a vivere in Brasile molti brasiliani mi guardavano come impazzito quando correvo dietro l'autobus in movimento. Non ce la farai mai dicevano. Ma invece ce la facevo sempre. Treinato nella Napoli dura degli anni 80 quando se perdevi l'autobus dovevi aspettare ore per prendere il prossimo Max non poteva permettersi il lusso di perderlo.
Questa era la nostra Napoli degli anni 80. Ma su tutti nei momenti tristi e duri c'era la musica di Pino che ci salvava e ci manteneva allegri.
In fondo sono sempre stato nero a meta' e per questo ho scelto la Bahia come mia terra adottiva. Sara' per colpa di Annibale che colonizzo' l'Italia secoli fa. Sara' perché' non accetto le ingiustizie e sto dalla parte dei deboli anche quando questo e' pericoloso.
Sara' perché' la lezione di Pino mi e' entrata dentro o perché' ha tirato fuori di me ciò' che avevo dentro.
Quella Napoli non c'e' più'. Ma ci siamo ancora noi. Che l'amiamo e a volte la odiamo quando il traffico pazzesco ci fa impazzire. Che dire?
Dopo una vita vissuta a Bahia quasi tutto e' cambiato. Una cosa pero' e' rimasta e rimarrà' sempre dentro di me. Il grande Pino. Ricordo il titolo del Mattino, giornale di Napoli, relativo ad un concerto di Pino: "Pino le musica che va lontano".
Così' voglio intitolare il mio articolo. Una musica che va lontano e che ti segue sempre dovunque tu sei.
Ciao Pino, sei volato via ma sono sicuro che da lassù' pensi sempre come me:
"tengo a cazzimma e faccio quello che mi va perché' so' blues e nun voglio cagna'' "
Ma si parla anche di musica. L'argomento e' lui, Pino Daniele, il cantautore che diveniva sempre più' popolare a Napoli.
Una specie di fratello maggiore per noi tutti. Che vedevamo la smorfia di Massimo Troiai in tv. Che ci sentivamo impegnati contro la camorra, contro le ingiustizie, contro il mondo che non andava per il verso giusto.
Poi tutti a prendere l'autobus a Capodichino per tornare alle nostre case nella zona Nord di Napoli. Rough areas si direbbe in inglese. Zone dure. L'autobus a volte passava uno all'ora.
Noi che lo prendevamo eravamo molto rapidi. Ma Max lo era di più' di tutti.
Max era specialista della corsa all'autobus. Quando sono andato a vivere in Brasile molti brasiliani mi guardavano come impazzito quando correvo dietro l'autobus in movimento. Non ce la farai mai dicevano. Ma invece ce la facevo sempre. Treinato nella Napoli dura degli anni 80 quando se perdevi l'autobus dovevi aspettare ore per prendere il prossimo Max non poteva permettersi il lusso di perderlo.
Questa era la nostra Napoli degli anni 80. Ma su tutti nei momenti tristi e duri c'era la musica di Pino che ci salvava e ci manteneva allegri.
In fondo sono sempre stato nero a meta' e per questo ho scelto la Bahia come mia terra adottiva. Sara' per colpa di Annibale che colonizzo' l'Italia secoli fa. Sara' perché' non accetto le ingiustizie e sto dalla parte dei deboli anche quando questo e' pericoloso.
Sara' perché' la lezione di Pino mi e' entrata dentro o perché' ha tirato fuori di me ciò' che avevo dentro.
Quella Napoli non c'e' più'. Ma ci siamo ancora noi. Che l'amiamo e a volte la odiamo quando il traffico pazzesco ci fa impazzire. Che dire?
Dopo una vita vissuta a Bahia quasi tutto e' cambiato. Una cosa pero' e' rimasta e rimarrà' sempre dentro di me. Il grande Pino. Ricordo il titolo del Mattino, giornale di Napoli, relativo ad un concerto di Pino: "Pino le musica che va lontano".
Così' voglio intitolare il mio articolo. Una musica che va lontano e che ti segue sempre dovunque tu sei.
Ciao Pino, sei volato via ma sono sicuro che da lassù' pensi sempre come me:
"tengo a cazzimma e faccio quello che mi va perché' so' blues e nun voglio cagna'' "
giovedì 1 gennaio 2015
Illustrissimo, ca' nisciuno e' fesso
Ca’ nisciuno e’ fesso, mio caro vice-ministro, massima autorita’ governativa per gli italiani all’estero. Perché’?
L’Illustrissimo nostro compatriota (puo’ continuare a camminare su di noi mentre ci parla, come dicevano Massimo Troisi e Benigni nella loro indimenticabile lettera in um film del passato) há fatto la proposta che e’ la quadratura del cerchio: aiutare gli italiani all’estero indigenti dando i soldi ai consolati italiani all’estero o meglio, sostituire l’istituzione di un Assegno di Solidarietà per gli italiani anziani e indigenti all’estero, con l’aumento delle risorse a disposizione dei Consolati per far fronte alle emergenze assistenziali.
Bingo, anzi complimenti visto che parliamo italiano.
Piccolo particolare: i consolati possono, com quei fondi, risolvere anche altri problemi, magari lê file per la cittadinanza?
Risolti due problemi in um’única soluzione.
Menzogna, disinformazione dell’opposizione! dicono dall’altro lato.
Ma perche’ lo Spi-Cgil condivide e fa propria la posizione di contrarietà già espressa dalla Cgil tramite Andrea Amaro, Responsabile per gli italiani all’estero e Vicesegretario generale del Cgie?
La CGIL, sindacato del partito di governo, si rifiuta di mettere nello stesso calderone (verrebbe da dire calderino visto lê dimensioni dei fondi in ballo) i soldi per i diversi problemi e respinge questa soluzione.
“La proposta del Viceministro Danieli rimuove infatti la condizione di diritto che la proposta di legge per l’istituzione dell’Assegno di Solidarietà prevede, determinando una situazione aleatoria e consegnando ai Consolati la discrezionalità dell’intervento a fronte di eventuali richieste.”, afferma il Dipartimento Internazionale SPI CGIL in línea con Amaro, che (chiaro) mastica amaro.
In uno studio precedente risultava che “Gli esclusi erano proprio quelli che dei servizi sociali ne avevano più bisogno, i più disagiati e disinformati, senza strumenti e capacità per accedervi. E se questo vale in Italia non è difficile immaginare che l’intervento assistenziale dei Consolati, attivabile su richiesta dell’interessato, già oggi esclude vaste aree di connazionali anziani in condizione di fragilità e indigenza, per il solo fatto di abitare in zone periferiche, di scarsa informazione e lontane dal Consolato.” dice la CGIL, ancora uma volta sugli indigenti. “Non va infine dimenticato che le particolari condizioni di gravità e l’età avanzata dei potenziali interessati all’Assegno di Solidarietà lo rendono uno strumento quanto mai necessario e urgente.”, di nuovo la CGIL, forse riferendosi agli italiani delle favelas sudamericane.
No, questa volta non e’ um complotto dell’opposizione (meglio um giorno da leone che 100 da Prodi pecore verrebbe da dire parafrasando um illustre rappresentante della maggioranza).
E’ che noi italiani residenti all’estero non prendiamo il Valium per dormire ma intendiamo che la soluzione dell’Illustrissimo potrebbe essere fare tutto per non far niente (continui a camminare su di noi Illustrissimo).
Ma in um rigurgito di orgoglio (solo questo ci e’ rimasto dopo la Prode proposta), ci alziamo e diciamo:
A noi italiani all’estero non ci sta bene, Illustrissimo, ca’ nisciuno e’ fesso.
Articolo pubblicato nell' ottobre 2007
L’Illustrissimo nostro compatriota (puo’ continuare a camminare su di noi mentre ci parla, come dicevano Massimo Troisi e Benigni nella loro indimenticabile lettera in um film del passato) há fatto la proposta che e’ la quadratura del cerchio: aiutare gli italiani all’estero indigenti dando i soldi ai consolati italiani all’estero o meglio, sostituire l’istituzione di un Assegno di Solidarietà per gli italiani anziani e indigenti all’estero, con l’aumento delle risorse a disposizione dei Consolati per far fronte alle emergenze assistenziali.
Bingo, anzi complimenti visto che parliamo italiano.
Piccolo particolare: i consolati possono, com quei fondi, risolvere anche altri problemi, magari lê file per la cittadinanza?
Risolti due problemi in um’única soluzione.
Menzogna, disinformazione dell’opposizione! dicono dall’altro lato.
Ma perche’ lo Spi-Cgil condivide e fa propria la posizione di contrarietà già espressa dalla Cgil tramite Andrea Amaro, Responsabile per gli italiani all’estero e Vicesegretario generale del Cgie?
La CGIL, sindacato del partito di governo, si rifiuta di mettere nello stesso calderone (verrebbe da dire calderino visto lê dimensioni dei fondi in ballo) i soldi per i diversi problemi e respinge questa soluzione.
“La proposta del Viceministro Danieli rimuove infatti la condizione di diritto che la proposta di legge per l’istituzione dell’Assegno di Solidarietà prevede, determinando una situazione aleatoria e consegnando ai Consolati la discrezionalità dell’intervento a fronte di eventuali richieste.”, afferma il Dipartimento Internazionale SPI CGIL in línea con Amaro, che (chiaro) mastica amaro.
In uno studio precedente risultava che “Gli esclusi erano proprio quelli che dei servizi sociali ne avevano più bisogno, i più disagiati e disinformati, senza strumenti e capacità per accedervi. E se questo vale in Italia non è difficile immaginare che l’intervento assistenziale dei Consolati, attivabile su richiesta dell’interessato, già oggi esclude vaste aree di connazionali anziani in condizione di fragilità e indigenza, per il solo fatto di abitare in zone periferiche, di scarsa informazione e lontane dal Consolato.” dice la CGIL, ancora uma volta sugli indigenti. “Non va infine dimenticato che le particolari condizioni di gravità e l’età avanzata dei potenziali interessati all’Assegno di Solidarietà lo rendono uno strumento quanto mai necessario e urgente.”, di nuovo la CGIL, forse riferendosi agli italiani delle favelas sudamericane.
No, questa volta non e’ um complotto dell’opposizione (meglio um giorno da leone che 100 da Prodi pecore verrebbe da dire parafrasando um illustre rappresentante della maggioranza).
E’ che noi italiani residenti all’estero non prendiamo il Valium per dormire ma intendiamo che la soluzione dell’Illustrissimo potrebbe essere fare tutto per non far niente (continui a camminare su di noi Illustrissimo).
Ma in um rigurgito di orgoglio (solo questo ci e’ rimasto dopo la Prode proposta), ci alziamo e diciamo:
A noi italiani all’estero non ci sta bene, Illustrissimo, ca’ nisciuno e’ fesso.
Articolo pubblicato nell' ottobre 2007
Tiziana: l’imprenditoria italiana femminile nello stato di Bahia
Ma chi l’ha detto che sono tutti uomini? Gli emigrati italiani nello stato di Bahia intendo. Beh, finora nella mia inchiesta ne avevo trovato solo di sesso maschile, egualmente divisi tra emigrati di lungo corso (oltre i 65 anni) e giovani sotto i 35 anni. Gli uni venuti da quasi mezzo secolo, gli altri arrivati recentemente in questa bella terra di Bahia, in cerca di avventura o di un modo diverso di vivere o ricominciare la vita. Ma Tiziana è sicuramente un esempio a parte. Di come una bella donna straniera di 45 anni possa lavorare ed avere successo in una terra ancora abbastanza machista come la Bahia di oggi.
Questa bresciana con una forte etica del lavoro, tipica delle persone della sua terra, è sbarcata 21 anni fa in terra di Bahia e si è fatta da sola. Ha messo su un negozio di arredamento e di interior design, è lei stessa arredatrice e svolge attività di consulenza nell’area per i nuovi palazzi costruiti a Salvador. Con il recente boom immobiliare che ha investito la Bahia (che, con la recente crisi, non si sa quanto durerà) c’era bisogno di persone brave e competenti che potessero dare un’originalità nell’arredamento dei nuovi condomini costruiti. E qui Tiziana è stata intelligente e sveglia a sfruttare le sue capacità e far crescere la sua attività di arredatrice. In questo modo ha avuto un discreto successo.
“Qual è il segreto?” le chiedo. “Lavoro, lavoro e di nuovo lavoro. Il Brasile è ancora una terra in cui si può guadagnare e avere successo” mi dice Tiziana. “Ma bisogna lavorare sul serio, non come molti italiani che vengono qui solo in cerca di avventura”. L’etica del lavoro fala alto (si sente forte, in portoghese) nelle parole di questa italiana che ha saputo vincere la sfida della vita con il lavoro.
Ed è interessante che in questa terra, in cui molti italiani che hanno guadagnato un discreto gruzzolo, lo spendono, Tiziana fa la cosa opposta. “Probabilmente quando avrò guadagnato una somma molto interessante, tornerò in Italia, mi comprerò una casa nella mia terra ed aprirò lì una nuova attività”, mi dice.
“Svolgo anche un’attività a favore di persone che ne hanno bisogno, ma normalmente non ne parlo” mi dice lei. Ma torniamo ad essere imprenditore qui a Bahia, dico io. “Perché è così difficile per gli italiani integrarsi pienamente nel tessuto della comunità bahiana, rispetto ad esempio alla comunità spagnola o portoghese di Bahia?” chiedo.
“Perché gli italiani non hanno pazienza” dice Tiziana. “Il segreto del successo è educare i propri dipendenti a lavorare ed a farlo bene. Molti italiani si lamentano sempre di loro, dicono che non hanno voglia di lavorare, che sono dei lavativi” mi dice Tiziana. “Qui i punti sono due: primo non puoi trovare l’Italia a Bahia (od anche Bahia in Italia). Intendo che operi in una realtà culturale completamente diversa da quella italiana e di conseguenza sarebbe assurdo attendersi un modo di lavorare simile a quello italiano qui a Bahia. La cultura è troppo differente. La maggior parte delle persone ha solo la licenza elementare ed anche quella di valore notevolmente inferiore a quella italiana. E qui subentra il secondo punto. Bisogna educare i propri dipendenti ed avere pazienza. Io sono esigente ma al tempo stesso paziente. La maggior parte degli italiani addestra i propri dipendenti per due mesi e poi lascia nelle loro mani l’attività. No, la formazione, perché un'attività imprenditoriale abbia successo, deve durare come minimo 2 anni. Per guadagnare in maniera apprezzabile ci ho messo 4 anni, da quando ho cominciato qui a Bahia. Ed i miei dipendenti non mi hanno mai rubato, al contrario.”
“Un altro segreto è far crescere finanziariamente i propri dipendenti con il proprio business. Se all’inizio ad esempio un dipendente guadagna il salario minimo, la differenza tra il mio business e quello ad esempio dei brasiliani è che con me, se vendi di più, guadagni di più mentre con la maggior parte dei brasiliani i dipendenti continuano a lavorare a salario minimo. Bisogna incentivare i propri dipendenti.”
E forse è proprio nell’integrazione vera nel tessuto sociale e culturale bahiano, pur mantenendo le proprie caratteristiche italiane, il segreto del successo di Tiziana. “Sono e sarò sempre italiana, tanto per me stessa quanto per i brasiliani. Ma faccio parte della realtà di Salvador e posso dire che, per chi ha voglia di lavorare, le occasioni ci sono sempre qui a Bahia.”
E qui nel negozio di arredamento e consulenza di Tiziana, nel quartiere di Rio Vermelho a Salvador di Bahia, trovo una piccola isola di sana imprenditoria femminile bresciana, italiana.
Un’ altro volto, non conosciuto ma importante, dell’emigrazione italiana in Brasile.
Pubblicato nel novembre 2008
Questa bresciana con una forte etica del lavoro, tipica delle persone della sua terra, è sbarcata 21 anni fa in terra di Bahia e si è fatta da sola. Ha messo su un negozio di arredamento e di interior design, è lei stessa arredatrice e svolge attività di consulenza nell’area per i nuovi palazzi costruiti a Salvador. Con il recente boom immobiliare che ha investito la Bahia (che, con la recente crisi, non si sa quanto durerà) c’era bisogno di persone brave e competenti che potessero dare un’originalità nell’arredamento dei nuovi condomini costruiti. E qui Tiziana è stata intelligente e sveglia a sfruttare le sue capacità e far crescere la sua attività di arredatrice. In questo modo ha avuto un discreto successo.
“Qual è il segreto?” le chiedo. “Lavoro, lavoro e di nuovo lavoro. Il Brasile è ancora una terra in cui si può guadagnare e avere successo” mi dice Tiziana. “Ma bisogna lavorare sul serio, non come molti italiani che vengono qui solo in cerca di avventura”. L’etica del lavoro fala alto (si sente forte, in portoghese) nelle parole di questa italiana che ha saputo vincere la sfida della vita con il lavoro.
Ed è interessante che in questa terra, in cui molti italiani che hanno guadagnato un discreto gruzzolo, lo spendono, Tiziana fa la cosa opposta. “Probabilmente quando avrò guadagnato una somma molto interessante, tornerò in Italia, mi comprerò una casa nella mia terra ed aprirò lì una nuova attività”, mi dice.
“Svolgo anche un’attività a favore di persone che ne hanno bisogno, ma normalmente non ne parlo” mi dice lei. Ma torniamo ad essere imprenditore qui a Bahia, dico io. “Perché è così difficile per gli italiani integrarsi pienamente nel tessuto della comunità bahiana, rispetto ad esempio alla comunità spagnola o portoghese di Bahia?” chiedo.
“Perché gli italiani non hanno pazienza” dice Tiziana. “Il segreto del successo è educare i propri dipendenti a lavorare ed a farlo bene. Molti italiani si lamentano sempre di loro, dicono che non hanno voglia di lavorare, che sono dei lavativi” mi dice Tiziana. “Qui i punti sono due: primo non puoi trovare l’Italia a Bahia (od anche Bahia in Italia). Intendo che operi in una realtà culturale completamente diversa da quella italiana e di conseguenza sarebbe assurdo attendersi un modo di lavorare simile a quello italiano qui a Bahia. La cultura è troppo differente. La maggior parte delle persone ha solo la licenza elementare ed anche quella di valore notevolmente inferiore a quella italiana. E qui subentra il secondo punto. Bisogna educare i propri dipendenti ed avere pazienza. Io sono esigente ma al tempo stesso paziente. La maggior parte degli italiani addestra i propri dipendenti per due mesi e poi lascia nelle loro mani l’attività. No, la formazione, perché un'attività imprenditoriale abbia successo, deve durare come minimo 2 anni. Per guadagnare in maniera apprezzabile ci ho messo 4 anni, da quando ho cominciato qui a Bahia. Ed i miei dipendenti non mi hanno mai rubato, al contrario.”
“Un altro segreto è far crescere finanziariamente i propri dipendenti con il proprio business. Se all’inizio ad esempio un dipendente guadagna il salario minimo, la differenza tra il mio business e quello ad esempio dei brasiliani è che con me, se vendi di più, guadagni di più mentre con la maggior parte dei brasiliani i dipendenti continuano a lavorare a salario minimo. Bisogna incentivare i propri dipendenti.”
E forse è proprio nell’integrazione vera nel tessuto sociale e culturale bahiano, pur mantenendo le proprie caratteristiche italiane, il segreto del successo di Tiziana. “Sono e sarò sempre italiana, tanto per me stessa quanto per i brasiliani. Ma faccio parte della realtà di Salvador e posso dire che, per chi ha voglia di lavorare, le occasioni ci sono sempre qui a Bahia.”
E qui nel negozio di arredamento e consulenza di Tiziana, nel quartiere di Rio Vermelho a Salvador di Bahia, trovo una piccola isola di sana imprenditoria femminile bresciana, italiana.
Un’ altro volto, non conosciuto ma importante, dell’emigrazione italiana in Brasile.
Pubblicato nel novembre 2008
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