giovedì 24 luglio 2008

Fratelli d' Italia

“Fratelli d’Italia, l’Italia s’e’ desta”, grida mio figlio quando passeggia com me in strada. Há solo 2 anni e qualche mese, non parla bene e’ nato in Brasile ma e’ italiano al 100%.
Gli piace cantare l’inno nazionale, non conosce neanche il paese d’origine ma e’ fiero di essere italiano.
Quanti di noi in Itália e all’estero siamo come lui? Pochi, molto pochi se vediamo cosa succede nelle cronache italiane e non. Alcuni piccoli grandi esempi.
Ero com um amico che si era recato al consolato di Salvador de Bahia. Lui raccontava: “Pois não?” chiedeva la funzionaria del consolato. “Come?” rispondeva il mio amico. “Pois não?” ripeteva com calma la funzionaria. “Non capisco sono italiano. Parla l’italiano?” E questa scena si ripete in moltissimi altri consolato italiani nel mondo.
Che io sappia il consolato o l’ambasciata sono território italiano. C’e’ obbligo di parlare italiano. Non sono io che devo chiedere al funzionario se parla italiano, e’ lui che há l’obbligo di farlo. Si e’ invertito l’ordine delle cose.
Ma in fondo vari responsabili dei Comitês italiani all’estero o addirittura parlamentari italiani non parlano correttamente l’italiano. Ma insomma siamo italiani o no? Se siamo in pátria dovremmo usare la nostra língua non il contrario.
Altro esempio: sono in fila al consolato italiano in Brasile. Insieme ai brasiliani. Fila única. Migliaia di persone che fanno la pratica per la cittadinanza ed io tra loro, che gia’ sono cittadino italiano. Perche’? Perche’ all’estero per l’Italia c’e’ il principio della fila única. Non c’e’ discriminazione di nazionalita’, rispondono fieri al consolato.
E perche’ questa discriminazione ai consolati inglese, americano, brasiliano etc. all’estero c’e’? Perche’ quelli del paese d’origine pagano lê tasse. E perche’ noi italiani non lê paghiamo? Si pero’ noi abbiamo vergogna a far valere i nostri diritti. La discriminazione ci dovrebbe essere ed e’ giusta. Perche’ siamo noi che manteniamo i consolati italiani non quelli che chiedono la cittadinanza. Giustissimo diritto il loro di chiederla. Ma perche’ devo essere io italiano a stare in uma fila enorme per questo?
Altro esempio: gli istituti di cultura inglese (British Council), tedesco (Goethe Institute), francese e spagnolo sono in edifici bellissimi con strutture molto valide e biblioteche aperte ad orari continuati. Non cosi’ gli istituti italiani di cultura all’estero: edifici fatiscenti, strutture precarie non sono la regola ma quasi. Senza parlare della gogna che bisogna passare per prendere in préstito um libro o um film italiano. Perche’ se gli istituti di cultura italiani ricevono fondi pubblici? E’ vero non sono tantissimi, al contrario, ma cio’ non giustifica strutture che in Sudamerica (com l’eccezione di São Paolo e poche altre) sono paragonabili a quelle locali, da sempre cronicamente al verde. Vedete la Casa d’Italia di Salvador per credere.
Forse la ragione di tutto e’ l’italica vergogna di far valere i propri diritti anche quando ci sono. Il fatto di pensare che forse non ne abbiamo diritto anche quando sappiamo che e’ vero il contrario.
Forse e’ solo il mio figlioletto che canta com orgoglio “Fratelli d’Italia”. Ne’ in pátria accade cio’. Ma tentero’, per quanto possibile, di spiegargli che il mio paese há forgiato la storia del mondo e quindi di camminare a testa alta quando si parla di esso. E a difenderlo anche contro lê stesse strutture pubbliche italiane all’estero che a volte sembrano, loro stesse, aver timore di preferire gli italiani agli stranieri.

http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/post/1979766.html

http://www.litaliano.it/oggi.pdf

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